Nei versetti conclusivi del vangelo di Matteo (28,16-20) c’è il mandato ai discepoli della missione universale: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli”. È a partire dalla risurrezione di Gesù che i discepoli sono inviati a predicare l’evangelo alle genti. È su questo aspetto che vogliamo riflettere, per cercare di cogliere il dinamismo e il significato della missione, per cercare di capire quali sono le caratteristiche del compito missionario affidato ai discepoli, per cercare di modellare la missione di oggi alle parole di Gesù. Oggi la missione non si è solo sbiadita, ma ha perso anche i contenuti e le coordinate che il Signore ha indicato nei vangeli.
I versetti 16-17 presentano gli undici apostoli (Giuda Iscariota, uno dei dodici, dopo il tradimento di Gesù è uscito di scena) presentano i discepoli in cammino verso un monte della Galilea (designato da Gesù stesso), in obbedienza a un suo comando (a noi il luogo dell’incontro con il Cristo risorto resta sconosciuto, ma sappiamo delle parole di Gesù nel Getsemani ai suoi discepoli, in cui si dice che li avrebbe preceduti in Galilea, Matteo 26,32). Gli undici, veduto Gesù risorto, gli si prostrano davanti e lo adorano, mentre qualcuno (non sappiamo chi) ancora dubita (dal vangelo di Giovanni sappiamo dei dubbi di Tommaso). Gesù si accosta e parla loro dicendo di avere ricevuto ogni potere in cielo e sulla terra (in questa espressione è forse possibile scorgere un riferimento alla profezia di Daniele 7,13-14). Poi Gesù dà ai discepoli il mandato (o l’incarico) della missione (la predicazione del Vangelo a tutti i popoli della terra) e assicura la sua presenza al loro fianco fino al compimento della storia. La volontà di Dio è salvare tutti coloro che credono in Gesù e formare una comunità di popoli in Cristo. Il nuovo popolo di Dio include gente di tutte le nazioni e di tutte le razze, senza più distinzione tra giudeo e greco (ebreo e gentile), libero e schiavo, maschio e femmina. Il Vangelo di Cristo è per tutti e la salvezza è offerta a tutti. Già Isaia diceva che il Servo del Signore è “luce delle nazioni e strumento di salvezza fino all’estremità della terra” (49,6).
Il compito di coloro che sono inviati a compiere la missione è scandito da tre verbi: fare (o rendere) discepoli, battezzare, insegnare. Battezzare e insegnare, nel testo greco del Nuovo Testamento, sono due participi, che in italiano traduciamo con: battezzando e insegnando. I due participi (battezzando e insegnando) dipendono dal verbo principale e di modo finito che è matheteusate (è un imperativo aoristo attivo, seconda persona plurale, del verbo manthano), che in italiano viene tradotto con: fate discepoli o ammaestrate. Lo scopo della missione, affidata da Gesù ai discepoli, è dunque delineata: “Fate miei discepoli”. Fare discepoli a Cristo: è questo l’imperativo della missione dato alla chiesa. I due participi usati nel “grande mandato” di Matteo (battezzando e insegnando) chiariscono in che cosa consista il fare discepoli di Gesù: chi ascolta e accoglie il messaggio del Vangelo e vi presta fede, viene battezzato e ammaestrato nelle vie di Dio, gli viene insegnato come vivere la nuova vita in Cristo. L’ordine dei due participi riportati in Matteo (prima c’è battezzare e poi insegnare) indica che l’ammaestramento continua anche dopo il battesimo. L’insegnamento ha come oggetto tutto ciò che Gesù ha comandato. L’ultima frase di Gesù è una promessa (quella della sua presenza in mezzo ai discepoli) che abbraccia tutto il tempo della missione, fino alla fine dei tempi. Convertire i cuori delle persone o fare discepoli a Cristo è una opera che soltanto Dio o lo Spirito Santo può fare, ma i cristiani possono e devono predicare il Vangelo, battezzare coloro che credono in Gesù e insegnare loro (cioè ai nuovi convertiti) la volontà di Dio.
Alla luce delle parole di Gesù sulla missione, facciamo tre brevi considerazioni che riflettono una certa tendenza delle chiese di oggi. La prima: non dovremmo battezzare una persona senza prima avergli insegnato le linee o le cose fondamentali della storia della salvezza, come: la fede in Gesù Cristo, la sua identità e missione; la coscienza di essere peccatore e di aver bisogno del perdono dei peccati; che cosa significhi diventare cristiano. La seconda: nella missione non dobbiamo puntare a fare dei “battezzati”, ma discepoli a Cristo (che comprende certo il battesimo e l’insegnamento). Il mandato non è “fare battezzati”; il mandato è “fare discepoli”. Le chiese, purtroppo, sono piene di tanti “battezzati” (termine assente nel Nuovo Testamento) e non di discepoli. La terza: chi battezza dovrebbe sentire la responsabilità morale e spirituale di insegnare (anche dopo il battesimo), a colui che è stato battezzato, a osservare tutte quante le cose che Gesù ha comandate.