“Se la Bibbia non parla al mio cuore, posso non leggerla? Se certi testi non mi dicono niente, perché devo fare o ubbidire a ciò che dicono?” Non so se il nostro lettore sia un credente, tuttavia apprezzo la sua onestà. Quando la Bibbia non parla al cuore dell’uomo, non è la Bibbia che va cambiata, ma è il cuore duro e insensibile (come dice il Vangelo) che va convertito, e questa è l’opera che lo Spirito Santo fa proprio tramite le Scritture. Quando un testo biblico non mi dice niente, non vuol dire che quel testo non dice niente in assoluto, cioè non significa che non ha niente da dire, ma vuol dire che io non sto lasciando che Dio mi parli attraverso quel testo. Se uno non ubbidisce alle parole di Gesù, non è un vero cristiano, non è un discepolo di Gesù. Il Vangelo di Cristo va letto, ascoltato, creduto, ubbidito, vissuto. Gesù stesso rimprovera coloro che lo chiamano “Signore, Signore”, ma non fanno ciò che lui dice (Luca 6,46). Mi rendo conto della delicatezza della domanda e della sensibilità delle persone, perciò proverò ad approfondire la mia risposta chiarendo due aspetti: il modo come leggere la Bibbia e l’ubbidienza al Vangelo. La mia preghiera a Dio è che possa Lui seminare la sua Parola nei cuori degli uomini, per condurre molti all’ubbidienza della fede.
Ricordo che qualcuno, un biblista ed esegeta di lungo corso, diceva che ci sono tre modi di leggere la Bibbia, ma solo l’ultimo è quello più giusto. Il primo è quello del predicatore che legge il vangelo (spesso segue un lezionario) e poi si domanda: “Che cosa dirò domenica alla mia comunità?”. Poi va a cercare commenti per preparare il sermone. Il secondo è quello dei gruppi biblici (sono coloro che si ritrovano assieme settimanalmente per fare una lettura continua della Bibbia), i quali leggono la Bibbia e poi ciascuno si domanda: “Che cosa dice a me questo brano della Scrittura?”. Se il testo non gli parla o non gli dice nulla, cambia il testo biblico, ne cerca un altro. Infine c’è un terzo modo di leggere la Bibbia, ed è quello di domandarsi: “Che cosa dice il testo biblico?”. Ogni testo biblico è stato scritto per dire e insegnare qualcosa. Se non dicesse nulla, non si capirebbe perché Dio lo ha fatto scrivere nella Bibbia. Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e pertanto è utile a insegnare, riprendere, correggere, educare alla giustizia (2 Timoteo 3,16). Al dottore della legge che gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, Gesù dice tre cose (Luca 10,25-28). La prima: lo rimanda al testo, alla materialità del testo biblico (“nella legge che cosa sta scritto?”). La seconda: lo invita a comprendere il testo (“come leggi?”). La terza: gli chiede di amare così come il comandamento di Dio (riportato nella Torah di Mosè, Deuteronomio e Levitico) chiede di fare (“fai questo e vivrai”). La Bibbia si legge, se ne capisce il senso o significato e si fa ciò che essa dice.
L’ascolto (e la lettura) della Parola di Dio ci interpella, ci provoca ed esige una accoglienza onesta e sincera, nella fede e nell’ubbidienza. Accogliere la Parola significa ubbidire alla Parola, metterla in pratica, dimorare in essa. Sono innumerevoli i testi dell’Antico Testamento che invitano il popolo di Israele a ubbidire a Dio e alla Legge del Signore. L’ubbidienza ai comandamenti è vita, è adesione a un progetto di salvezza voluto da Dio, è fonte di benedizioni. Per il Nuovo Testamento l’ubbidienza a Gesù Cristo è ubbidienza al Vangelo (Romani 10,16; 1 Tessalonicesi 1,8), alla fede (Romani 1,5), alla verità (1 Pietro 1,22), in contrapposizione al rifiuto di credere al Vangelo (1 Pietro 4,17). Paolo descrive la sua missione come un rendere ogni pensiero soggetto all’ubbidienza a Cristo (2 Corinzi 10,5). A conclusione del discorso della montagna, la parabola delle due case (o costruttori) oppone coloro che ascoltano e fanno a coloro che ascoltano ma non fanno (Matteo 7,24-27; Luca 6,47-49). Luca riprende questo tema nella parabola del seminatore (Luca 8,4-15). Anche negli altri vangeli la parabola è incentrata sulla contrapposizione tra l’ascoltatore autentico e l’ascoltatore inautentico, fra i terreni infruttuosi e il terreno buono, cioè coloro che ascoltano la Parola di Dio e la comprendono (Matteo 13,23), la accolgono (Marco 4,20), la custodiscono (Luca 8,15), e per questo portano frutto. Subito dopo la parabola del seminatore (e quella della lampada), Luca riporta l’episodio della madre e dei fratelli di Gesù che lo cercano (8,19-21). A chi gli riferisce che i suoi lo stanno cercando, Gesù risponde: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (8,21). La risposta di Gesù diventa un ulteriore commento alla parabola del seminatore su un ascolto autentico e un ascolto inautentico. Tutta la sezione (e con essa la mia risposta) trova una conclusione nell’espressione di Gesù: “Ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica”.