Quando preghi dici “Padre”, ma qual è l’idea di “Padre” che hai in mente quando preghi? Il Padre al quale i cristiani rivolgono le loro preghiere è il Padre di Gesù Cristo, è il Padre che Gesù ci rivela nei vangeli, non il padre della religione, della teologia, del credo, del mondo pagano, della filosofia. I Greci e i Romani praticavano l’esposizione (abbandono) dei bambini non riconosciuti o non voluti dal padre per un qualche difetto fisico o altro: il bambino veniva abbandonato presso una discarica. Un greco scrive a sua moglie che sta per avere un bambino e dice: “Se è maschio, lascialo vivere; se è femmina, esponila”. Il filosofo Martin Heidegger sostiene che l’uomo è come gettato nel mondo e si trova in una situazione esistenziale che non ha scelto, non ha programmato. Come dire che siamo in questo mondo non voluti, non pensati, non amati da nessuno; siamo tutti orfani di padre e madre. Il Credo Niceno-Costantinopolitano, che viene professato ogni domenica in molte chiese, nel primo paragrafo, quando parla di Dio Padre, afferma: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Queste sono affermazioni indubbiamente vere e giuste, ma che spostano l’attenzione soltanto sulla onnipotenza di Dio, sul suo essere creatore del cielo e della terra, e trascurano l’immagine di Padre amorevole e misericordioso che Gesù vuole trasmetterci. Nemmeno la paternità umana di noi tutti illustra perfettamente la paternità divina, né per analogia né per contrasto. Non possiamo risalire alla paternità divina partendo da quella umana. Non c’è continuità. Non ci sono padri come il Padre di Gesù. Nonostante le parole di Gesù di “non chiamare alcuno sulla terra padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli” (Matteo 23,9), c’è chi si fa chiamare “padre spirituale”. Così facendo si pregiudica ancora una volta l’idea e l’immagine della paternità divina di Dio, che viene relegata alla sola “funzione del sacro” e perde il significato profondo che Gesù vuole trasmetterci. Gesù stesso, che poteva dire di essere il Padre di tutti i suoi discepoli, non si è mai chiamato “Padre”, ma sempre “Figlio”.
Anche gli ebrei e l’Antico Testamento conoscevano l’appellativo “Padre” riferito a Dio, ma Gesù parla del Padre come nessun altro ha mai fatto prima. Gesù ci rivela un Padre che è vicino ai suoi figli, non certo distante; un Padre che vuole avere una relazione intima e affettuosa con i suoi figli. Paolo apostolo afferma che lo Spirito Santo che abita in noi, ricevuto con la conversione a Cristo, ci fa gridare “Abbà, Padre” (Romani 8, 15; Galati 4,6), parole che sono già risuonate sulla bocca dello stesso Gesù Cristo nel Getsemani, poco prima dell’arresto e della croce (Marco 14,36). Il vocabolo aramaico “Abbà” potremmo renderlo in italiano con l’espressione “Caro Papà”; una espressione di intimità e di tenerezza. Per i Greci e i Romani (per i pagani in genere), “padre” era semplicemente un titolo di onore per la divinità. Per i cristiani invece invocare Dio come Padre significa sentirsi figli di Dio, significa confessare la propria adozione filiale, significa esprimere quella fiducia che il figlio prodigo dimostra quando dice: “Andrò da mio padre” (Luca 15,18).
Secondo Gesù, Dio è Padre non tanto in termini di sovranità, ma di intimità; Dio è Padre non tanto in termini di autorità, ma di vicinanza; Dio è Padre non tanto in termini di potenza, ma di soccorso, di aiuto e di cura per i figli. Facciamo qualche esempio tratto dai vangeli. Nel sermone sul monte Gesù parla della cura che il Padre ha per gli uccelli del cielo e i gigli dei campi: gli uccelli li nutre e i gigli dei campi li riveste di bellezza e di gloria (Matteo 6,26-30). Se Dio ha cura per gli uccelli e i gigli, quanto più egli si prenderà cura di coloro che nella preghiera lo invocano come “Padre nostro che sei nei cieli” (Matteo 6,9). Sempre nel sermone sulla montagna Gesù parla pure della bontà del Padre verso tutti gli uomini: “Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Matteo 5,45). In questi testi non è l’onnipotenza del Padre che Gesù mette in evidenza, ma la grazia con la quale cura ogni creatura; Gesù non dice che il Padre mette al mondo le creature (cosa certamente vera), ma che le cura. L’immagine che Gesù ci dà del Padre è quella della parabola del figlio prodigo di Luca 15,11-32: un Padre che ci accoglie con abbracci, baci e gioia (e non è vero che siamo gettati nel mondo, come diceva Heidegger).
“Quando pregate, dite: Padre” (Luca 11,2). Pregare è dire Padre, anche senza aggettivi. Pregare è sapere che Dio è nostro Padre: è quel Padre che Gesù ci ha fatto conoscere. Pregare è la grazia che abbiamo di parlare con il Dio che è nostro Padre in Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito Santo.