Nelle nostre letture settimanali con la Parola di Dio siamo giunti al capitolo 31 del libro dei Numeri, ovvero alla guerra d’Israele contro i madianiti. Il Signore ordina a Mosè di vendicare il male fatto dai madianiti contro i figli d’Israele. L’episodio da vendicare è quello riferito nel capitolo 25 di Numeri. Israele si trova a Sittim, nelle pianure di Moab, e quivi il popolo comincia a fornicare e a fare sacrifici al dio cananeo Baal-Peor, commettendo il peccato di apostasia. I figli d’Israele hanno relazioni sessuali con le donne di Moab e di Madian, legate al culto della fertilità. Un israelita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità, sfacciatamente e spudoratamente, mentre tutti piangono, commette un peccato grave e vergognoso. L’uomo si chiama Zimr, figlio di uno dei capi patriarcali della tribù di Simeone, la donna si chiama Cozbi, figlia di uno dei capi dei madianiti: sono entrambi leaders dei rispettivi popoli. Fineas vede l’israelita e la donna recarsi nella tenda e, animato da zelo per il Signore, entra e trafigge i due con la lancia in modo cruento, la donna viene colpita nel basso ventre. A seguito del gesto di Fineas, cessa il flagello contro i figli d’Israele, che ha provocato la morte di ventiquattromila persone. Ora, nel capitolo 31, viene chiesto a Mosè di vendicare Israele. Questa è la prima guerra della nuova generazione e l’ultima comandata da Mosè. Un esercito scelto di tutte le tribù d’Israele, composto di dodicimila soldati, marcia contro Madian e uccide tutti i maschi; muoiono pure i cinque re di Madian e Balaam, figlio di Beor, il profeta-indovino, istigatore dell’apostasia. Fineas, figlio del sacerdote Eleazar, colui che porta gli oggetti sacri e ha in mano le trombe squillanti, è con l’esercito d’Israele: segno che questa è una “guerra santa”. Nessuno dei soldati d’Israele muore in battaglia: segno anche questo che la guerra è voluta e guidata dal Signore. L’esercito d’Israele risparmia la vita alle donne madianite e ai bambini, ma Mosè si adira contro i comandanti, e chiede che vengano uccise le donne, eccetto le vergini, e i bambini maschi: le donne perché loro hanno fatto peccare i figli d’Israele nelle relazioni sessuali, e i bambini perché sono dei potenziali nemici che in futuro possono vendicarsi. La guerra e il contatto con i morti causa una contaminazione e impurità ai soldati: motivo per cui viene chiesta la purificazione rituale della durata di sette giorni. Il racconto mette in evidenza come tutti (Mosè, Eleazar, soldati, popolo) fanno e agiscono secondo la volontà del Signore. Il capitolo si conclude con l’inventario del bottino di guerra, oro e gioielli lavorati, e con l’offerta fatta al Signore.
Quando leggiamo la Bibbia, in modo particolare l’Antico Testamento, capita a volte di imbatterci in racconti come questi che urtano la sensibilità moderna e turbano la nostra coscienza, abituati come siamo all’etica dell’amore, alla tolleranza e al perdono. Alla luce degli insegnamenti e dell’esempio di Gesù Cristo, la nostra ubbidienza non ha bisogno di tradursi in atti di violenza per piacere a Dio, ma di un vivere appassionato e totale per Dio. L’aver coniato l’espressione “guerra santa” non ha tolto l’imbarazzo che il testo suscita. Non è aggiungendo un aggettivo che si risolve il problema: anzi non vedo come il vocabolo “santo” possa accordarsi con il sostantivo “guerra”. Non si risolve nemmeno censurando il testo, ma provando a spiegare, o meglio, a esporre le ragioni della Scrittura. Il rifiuto di qualunque forma di violenza mi trova d’accordo. Applaudo quando sento parlare di ripudiare la guerra e il ricorso alle armi. Ma chi è colpevole di così tanta violenza che ancora oggi viene perpetrata nel mondo? Non è forse quella stessa coscienza che si scandalizza per le guerre del passato e rimane poi indifferente verso i crimini del presente? Il XX secolo o secolo breve è forse il più brutale e violento di tutta la storia umana, con due guerre mondiali. Ma torniamo al racconto dei Numeri. C’è un tempo trascorso tra il capitolo 25 e il 31: è il tempo concesso per il ravvedimento. Nessuno può togliere a Dio il diritto di essere il giudice dei popoli: e la vendetta contro Madian è un atto di giudizio e di giustizia di Dio. Cacciare i madianiti dal paese di Canaan per darlo a Israele è l’adempimento di una promessa fatta ad Abramo e un giudizio verso il peccato che ha raggiunto il colmo (Genesi 15,16). Questo tipo di guerra non è una consuetudine nella Bibbia, ma si limita alla conquista di Canaan. Non sono i madianiti in quanto tali a essere giudicati: Obed è un madianita (10,29,32), le ragazze e i bambini risparmiati sono madianiti; dunque c’è una giustapposizione e dialettica tra giudizio e speranza. L’ira di Dio, ovvero la sua santa opposizione al male, fa sì che il peccato non sia mai negato né dimenticato. È alla croce che l’ira cede all’amore.