Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

“Vanità delle vanità”,  dice Qohelet, “tutto è vanità”. Il libro dell’ Ecclesiaste  (Qohelet in ebraico) è uno dei più enigmatici e affascinanti libri dell'Antico Testamento. Lo sguardo disinteressato e impietoso del sapiente scruta fino in fondo nelle pieghe più segrete dell'esperienza umana e smonta sistematicamente ogni falsa illusione dell’uomo, non fondata su Dio. Il ritornello martellante ripete la parola chiave dell'intero libro:  “hebel” (vanità, vuoto, soffio, vapore, inconsistenza).


“Vanità delle vanità, tutto è vanità”: è quasi il titolo del libro, dopo l'intestazione: “Parole di Qohèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme”. Il libro è attribuito a Salomone, figura rappresentativa della sapienza in Israele. “Vanità delle vanità” è nella forma ebraica un superlativo, come se si dicesse: la somma inconsistenza, la più grande instabilità. Rimane comunque difficile determinare il senso preciso del vocabolo, per sua natura sfuggente. In ebraico il termine vanità si riferisce propriamente al fumo, al vapore che emette il nostro respiro in un ambiente freddo. Lo si vede per un attimo, poi svanisce nel nulla. Con questo termine si designano tutte le realtà effimere ed inconsistenti. Ravasi lo traduce con “vuoto” e dice che “il termine rimanda ad una realtà fluida ed inconsistente come la nebbiolina dell'alba dissolta dal sole o come una nuvoletta spazzata via dal vento o come una stilla di rugiada che evapora al primo calore”. Il termine hebel rimanda anche all'idolo, inerte e inutile, e all'uomo (confrontare il nome di Abele), la cui esistenza è passeggera e labile come un soffio.


Accostato a vanità c'è “kol”, che esprime la totalità: il vuoto è totale, assoluto, il non senso è massimo, la miseria suprema.


Il libro di Qohèlet è tutto un susseguirsi di descrizioni in cui le varie situazioni della vita sono portate a prova della tesi fondamentale. Ad esempio, nel capitolo 2,21-23 l'argomento è l'inutilità della fatica umana. L'ansia di accumulare ricchezze viene frequentemente stigmatizzata nei testi biblici sapienziali, perché collegata all'ingiustizia e alla mancanza di fede. Qohelet prescinde dal giudizio su come la ricchezza è  prodotta, e sostiene che in ogni caso il lavoro dell'uomo è inutile, perché anche il sapiente non potrà godere del frutto della sua fatica e dovrà lasciarlo ad altri che non hanno mosso un dito. Qual è allora il guadagno per l'uomo? Sono interrogativi che fanno riflettere. Qohelet nega ogni valore a questa fatica, e lo conferma con la cruda descrizione che segue. Preoccupazione e affanno senza tregua, neppure di notte: anche questo è vanità. Non ha senso accumulare ricchezze che altri godranno, non ha senso sacrificare al guadagno la serenità dello spirito e il riposo.


Nell’amara e realista constatazione con cui si apre il libro possiamo riconoscere un invito al discernimento: su che cosa è possibile fondare, in modo solido e non vano, la propria vita e il suo significato? Forse la riflessione alla quale giunge la sapienza va ancora più in profondità: non soltanto sul cosa, ma sul come, su quale atteggiamento. Anche realtà in sé positive e buone, quali il lavorare con sapienza, impegno e successo, sembrano tragicamente votate al fallimento e alla delusione. All’uomo non resta che rassegnarsi a percepire l’inconsistenza di tutto ciò che vive e per il quale fatica molto, o è possibile per lui sperare in una realtà che riscatti i suoi giorni dall’ombra della nullità? Cosa cercare nella vita? Su cosa fissare lo sguardo? Su Dio, il Signore. Soltanto la fede in Dio può riscattarci da una fatica senza profitto e darci riposo dagli affanni della vita. Piuttosto che pessimismo, quello di Qohelet è un sano realismo che ristabilisce la giusta scala di valori in una prospettiva di fede. Qohelet esorta a non sacrificare la qualità della vita all'inganno di un benessere ambiguo e a non considerare perenne ciò che è piuttosto transitorio. Qohelet esorta ad accogliere le piccole gioie del quotidiano come un dono di Dio.

Paolo Mirabelli

13 giugno 2016

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.