Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Isaia è un nome teoforo che significa: “il Signore è salvezza”, oppure “il Signore salva”). Il capitolo 6 di Isaia, intitolato nelle nostre versioni della Bibbia “Vocazione e missione del profeta”, può essere suddiviso in tre parti: teofania nel tempio di Gerusalemme (6,1-5); purificazione delle labbra, espiazione del peccato e vocazione profetica (6,6-8); missione del profeta al popolo (6,9-13). La chiamata di Isaia al ministero profetico richiama in qualche modo la chiamata e il mandato di Mosè descritti nel libro dell’Esodo (capitoli 3-4), ma con un ritmo e un linguaggio molto più concentrati ed essenziali. Nell’uno e nell’altro caso, tutto comincia con una teofania, che sorprende sia Mosè sia Isaia. Essi si mostrano profondamente turbati dalla manifestazione di Dio, consapevoli della loro personale indegnità e inadeguatezza. Da questo punto in poi le due situazioni hanno però un diverso sviluppo: Mosè continua a protestare la sua incapacità di assolvere il mandato, mentre Isaia, purificato dai carboni ardenti dell’altare dall’impurità e dal peccato, si dona con slancio come inviato del Signore. Diverso anche, nei due casi, è il contenuto del mandato: in quello di Mosè sta in primo piano l’annuncio della liberazione dalla schiavitù egiziana, in quello di Isaia sta in primo piano un annuncio iniziale di giudizio a cui segue l’oracolo di salvezza.


Il profeta Isaia ci dice nelle prime parole che il suo ministero profetico inizia “nell’anno della morte del re Uzzia” (6,1), che si colloca nel secolo VIII (verso il 740) avanti Cristo. Subito dopo descrive la grandiosa teofania, fino al versetto 4. Emerge in questa descrizione la santità di Dio, la sua trascendenza assoluta, sperimentata come incommensurabilità (“i lembi del suo mantello riempivano il tempio”), la maestà regale (“seduto sopra un trono alto”) e la sua santità, giusta e insondabile, proclamata a cori alterni da una corte celeste. I misteriosi serafini con le ali si coprono la faccia e i piedi in segno di rispetto verso il Signore degli eserciti. Il tempio trema ed è ripieno di fumo per la presenza di Dio; anche nella teofania del Sinai la montagna partecipa ad esprimere la presenza di Dio. Al coro serafico si unisce il canto della chiesa, il “Trisagion”, con le nostre voci che proclamano la santità del nostro Dio: “Santo, santo, santo”.


Il termine “santità” riferito a Dio include anche l’idea della suprema perfezione e rettitudine. Nel versetto 5 infatti è descritta la reazione del profeta, il quale dalla stessa visione di Dio è indotto a riconoscere la sua indegnità di peccatore, partecipe dei peccati del suo popolo. Se il racconto si chiudesse con la confessione di peccato, il suo effetto sarebbe la disperazione. Essa invece prosegue nei versetti 5-7 con la descrizione di una purificazione, che è anche una santificazione aperta alla speranza, fatta da uno dei serafini, il quale, con in mano un carbone ardente preso dall’altare, tocca le labbra del profeta e espia il suo peccato. Il profeta sente il suo peccato nella mente e nel cuore, nella profondità della sua anima, ma è preoccupato delle sue “labbra impure”, poiché egli sa che il ministero profetico è carisma della parola e del linguaggio.


L’incontro con Dio cambia in profondità il profeta. Le sue labbra ora purificate sono pronte per una missione che Dio stesso gli affida: egli deve agire a nome di Dio; con la sua parola o predicazione profetica egli deve annullare la distanza fra Dio e l’uomo, abbattere la barriera creata dal peccato tra Dio e  il popolo (59,1-2). Di fronte alla potenza e alla gratuità di Dio, Isaia si arrende. Nel versetto 8 è riportato il dialogo tra Dio e Isaia. “Chi manderò? Chi andrà per noi?”, chiede il Signore. Poiché è Dio che chiama, che costituisce, che invia e manda, il profeta può soltanto presentarsi. Basta al profeta, ora purificato e perdonato, sentire che Dio chiami qualcuno da inviare come suo portavoce e messaggero, perché Isaia dica prontamente: “Eccomi, Signore, manda me!”.

Paolo Mirabelli

15 febbraio 2016

Gallery|Bibbiaoggi
Foto & Post della Gallery: 1680
Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.