Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Questo titolo è tratto dalla domanda che il Signore rivolge agli abitanti di Gerusalemme e agli uomini di Giuda nel famoso “Canto della vigna” di Isaia. Ecco il testo completo: “Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?” (Isaia 5,4). Una domanda apparentemente semplice ma che in realtà è densa di significati e di implicazioni e risvolti, come vedremo in questa breve riflessione. Prima però una parola di commento al testo. Il capitolo 5 di Isaia si articola in due parti. Nella prima parte, il canto della vigna (5,1-7), si narra della cura e delle attenzioni che un padrone di una vigna ha nei suoi confronti. Fuori di metafora: il piccolo poema riferisce dell’amore di Dio e degli sforzi da lui fatti perché il suo popolo desse frutto. Il paradosso teologico che emerge è che tutto è fatto perché ciascuno ami il suo prossimo, come dire: amare qualcuno perché ami qualcun altro. Sono note di amore che motivano il rispetto del prossimo. Purtroppo il risultato deludente della vigna contraddice tanta passione e tanto sforzo fatto dall’amato/amante. Nella seconda parte (5,8-30), sei guai denunciano i peccati e illustrano il motivo del giudizio di Dio. Il peccato non solo non è rifiutato, ma è addirittura giustificato, ricercato, elevato a sistema e modello di vita. Dio è deriso e non rispettato, e c’è persino chi gli detta scadenze. I valori sono determinati dalle scelte soggettive e individuali. E la società non è più in grado di punire il colpevole e assolvere l’innocente, perché si lascia guidare da “ubriachi”. Alla fine la scena che il testo ci mostra si trasforma da amorosa in giudiziale, da canto diventa denuncia. Tuttavia, l’ultima parola non è il fallimento o l’annuncio della cattività del popolo, bensì l’affermarsi della giustizia di Dio e la riuscita del suo disegno. Ed eccoci ora nuovamente alla domanda posta da Dio: “Che cosa si sarebbe potuto fare di più?”. Ho sentito spesso qualcuno dire: “Ho fatto tutto il possibile”, oppure: “Cos’altro potevo fare?”. Medici che hanno cercato di mantenere in vita qualcuno, ma non ci sono riusciti. Genitori che si sono spesi per dei figli disubbidienti, ma senza ottenere risultati. Disoccupati che nonostante tutti gli sforzi non riescono a trovare lavoro. Perciò queste parole il più delle volte dicono i nostri fallimenti. Nel testo di Isaia però è Dio, colui al quale tutto è possibile e niente è impossibile, a dire: “Che cosa si poteva fare di più?”. Egli può sempre fare qualcos’altro. Quando le nostre possibilità finiscono, Dio ha in serbo una infinità di cose che può fare. Il Signore non ha limiti al suo potere, altrimenti non sarebbe Dio. È soltanto la sua sovrana volontà che stabilisce il limite del possibile, che a noi viene espresso nella parola della promessa. Come intendere allora la sua domanda? C’è chi vede in essa una semplice forma retorica. Quando certi esegeti non sanno che cosa dire, tirano in ballo la retorica o i generi letterari. Io invece vedo in queste parole una ricchezza di insegnamenti, ne menziono soltanto tre. Il primo. L’opera di Dio è perfetta, completa e sufficiente. Ciò che Dio ha fatto è sufficiente perché la vigna desse frutto in abbondanza. Nessun contadino potrebbe fare di più. Perciò Israele non può addurre scuse di fronte a Dio, dicendo che si poteva fare di più a loro riguardo. Tutto è stato fatto. Quando Giovanni conclude il suo vangelo dice che Gesù fece molti altri miracoli che non sono scritti “in questo libro”, ma ciò che è scritto è sufficiente a credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e avere vita nel suo nome. Nella storia/parabola del ricco e Lazzaro, il ricco chiede di mandare qualcuno dai suoi famigliari affinché si convertano e non abbiano la sua medesima sorte, ma padre Abramo risponde che avere la Scrittura è sufficiente a credere. Il secondo. Dio poteva creare il mondo in molti altri modi, ma così funziona tutto meravigliosamente bene. Dio poteva convincere faraone con altri mezzi a lasciare andare libero il suo popolo, ma attraverso i giudizi delle dieci piaghe tutti ora sanno che lui solo è il Signore. Nella pedagogia divina, le cose che Dio fa servono a ottenere i risultati che la sua volontà si prefigge, educano alla fede e danno insegnamenti al suo popolo. Il Dio che poteva creare l’uva senza vigna ha voluto che fosse una vigna coltivata a dare frutto. Il terzo. Proprio la forma interrogativa della domanda mi fa pensare che in fondo Dio intenda andare oltre il limite del possibile, e aprire alle possibilità. Il Dio che rimanere fedele quando il popolo è infedele, può anche amare quando non è amato, può ancora fare qualcosa per la sua vigna, nonostante i pessimi risultati. Che cosa può ancora fare Dio? I capitoli successivi parlano della nascita di un Figlio, chiamato Emmanuele.

Paolo Mirabelli

13 gennaio 2016

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.