Oggi più che mai la teologia non fa che parlare di totale rispetto delle religioni, intese come vie per Dio e per la pace degli uomini. La teologia dimentica che l’idea stessa di religione è in antitesi alla Rivelazione. La religione è la forma più umana dell’umanità decaduta dal peccato, poiché essa è il tentativo umano di giungere fino al cielo, è la Babele costruita dagli uomini (Genesi 11). La religione è il “luogo” dove più si annida il peccato, dove l’uomo è in lotta e in guerra con il suo simile. La pace, quella vera, può venire soltanto da Dio in Gesù Cristo. Karl Barth è stato il primo grande teologo ad aver pensato ad una critica teologica della religione. Barth fa irruzione sulla scena teologica europea negli anni venti del Novecento, con quella che rimane la sua opera più letta e commentata: “L’Epistola ai Romani”. Questo testo dà inizio al movimento teologico denominato “teologia dialettica”, contrapposta alla teologia liberale, di matrice storicista e romantica. Lo scopo di Barth è di riaffermare la dialettica o, meglio, la rottura tra Dio e il mondo (l’uomo, la cultura, la storia), contrariamente a quanto affermato dai teologi liberali Harnack e Troeltsch. La reazione di Barth al liberalismo prende anche il nome di “neo-ortodossia”. Barth inizia il suo insegnamento nel 1922 in Germania. Egli è un professore particolare perché non ha conseguito il dottorato in teologia e non ha l’abilitazione all’insegnamento. Barth propone un tipo di esegesi biblica che vuole andare oltre il metodo storico-critico, dal quale almeno inizialmente prende le distanze, per comprendere “teologicamente” il testo biblico, mediante una riscoperta della Bibbia come messaggio e parola di Dio all’umanità. Barth ritiene che l’assolutizzazione del metodo storico-critico finisca per lasciare al testo biblico soltanto il significato di un semplice documento storico, rischiando così di svuotare l’idea stessa di rivelazione e quella di parola di Dio. Barth scopre nell’epistola di Paolo un Dio “totalmente Altro”, diverso da quello presentato dalla teologia liberale, che egli ritiene essere la proiezione religiosa del mondo dei valori della società borghese, mandato in frantumi dalla tragedia della grande guerra che si abbatte sull’Europa. Il Dio di cui parla Barth irrompe verticalmente dall’alto nella sua parola, ponendosi criticamente nei confronti del mondo, anche e soprattutto del mondo religioso, e si rivela come il Dio che incontra l’uomo nell’evento Gesù Cristo. Nel testo barthiano risuonano accenti che rinviano alla polemica di Kierkegaard contro la cristianità stabilita e che si rifiutano di catalogare Dio mediante concetti di origine filosofica e culturale. Per Barth la religione è una forma dell’umano, in cui l’uomo tende a ricondurre il concetto di Dio a categorie comprensibili e perciò qualsiasi religione è una proiezione, e Dio una forma idealizzata delle aspirazioni umane. La Parola di Dio è dunque il rifiuto della religione e attua una critica ai contenuti di ogni tradizione umana, pure quelle che prendono forma nel cristianesimo storico.