“Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché ne dia di più”. Queste parole fanno parte della similitudine su “La vite e i tralci”, e il testo appartiene ai discorsi della “intima cena” fatti da Gesù ai suoi discepoli. Dopo aver detto: “Io sono la vera vite”, Gesù aggiunge che “il Padre è il vignaiuolo”. Ci saremmo aspettati come terza affermazione: “Voi, discepoli, siete i tralci”. E invece Gesù parla subito di ciò che il Padre fa con i tralci. Un passaggio questo non casuale. L’essere appartiene soltanto a Dio. È una grazia per noi essere tralci della vite. Questa similitudine di Gesù mi è familiare perché per tanti anni i miei genitori hanno posseduto una vigna. E mio padre faceva esattamente come dice Gesù nel vangelo: tagliava i tralci che non portavano frutto e potava quelli che avevano uva perché ne dessero di più. La vite ha bisogno di questo tipo di cura, ha bisogno di essere potata, altrimenti diventa sempre più “selvatica” e non porta frutto. Ma torniamo alle parole di Gesù sulla potatura. Potrebbe sorprendere, a chi non conosce il mondo contadino, che proprio i tralci che portano frutto siano potati. Potare significa tagliare, dunque comunica una attività forte, dolorosa. È come quando diciamo che uno deve subire un intervento chirurgico. Non è certo una cosa piacevole, anche se è necessaria. Tutto questo è vero, ma la potatura che il Padre fa è una iniziativa per la vita: ha come fine una promozione e non una mortificazione della vita. Come ogni intervento chirurgico è fatto per la vita, per salvare una persona, non per perderla. La potatura serve a dare impulso, vitalità, fertilità al tralcio. Il tralcio che porta frutto, perché dia sempre “più frutto” e “molto frutto”, ha bisogno proprio di essere potato. L’iniziativa del Padre, dunque, anche se può apparire dolorosa, in realtà ha come fine la crescita e l’abbondanza di frutto. Ma che cosa è la potatura? Che cosa il Padre pota nella vita del discepolo? Il testo evangelico non lo dice espressamente, perciò dobbiamo provare a supporre noi delle cose, magari pensando alla nostra esperienza di cristiani. Le potature sono quei tagli, che di tempo in tempo, è necessario fare al tralcio. Così come accade con la vite naturale. Il testo evangelico non vuol dire che Dio manda dolori e sofferenze ai discepoli che portano frutto, come alcuni sostengono. No, non è in questo senso che va intesa la potatura. Il Signore non ha certo bisogno di intervenire con le sofferenze per migliorare i cristiani. La verità è molto più piana e semplice. La vita spirituale è sempre un itinerario, una crescita. Ognuno di noi ha l’esperienza della crescita in se stesso di frutti buoni assieme a cose carnali. Paolo apostolo spesso nelle sue lettere rimprovera i cristiani per la loro carnalità: senti¬menti cattivi, abitudini egoistiche, atteggiamenti violenti, e molto altro ancora. Ecco, dunque, sono queste cose che il Padre pota, e non una volta sola, perché sempre si ripresentano in modi e con manifestazioni diverse. Non c’è età della vita che non esiga cambiamenti e correzioni, e quindi potature. Oltre a tutto ciò, mi piace pensare che il Padre pota pure altre cose che mettono in pericolo il nostro discepolato. Ad esempio, l’ansia per le cose della vita o la mancanza di visione e di speranza possono diventare a volte tralci che assomigliano a cespugli che soffocano la fede. E allora ben venga la potatura. Come fa il vignaiuolo con la vite e i tralci che portano frutto, così il Signore pota ciò che non va bene nel nostro cammino di fede, perché ognuno di noi possa portare molto frutto alla gloria del Padre.