Giovanni rivolge una esortazione iniziale, apparentemente ovvia, ai cristiani a non peccare ma ad osservare i comandamenti di Dio (2,1-6). A questa esortazione segue quella dell’amore per i fratelli (2,7-14), che può anche essere considerata un tutto uno con la precedente, quella di non amare il mondo (2,15-17), inteso come tutto ciò che si oppone alla volontà di Dio, e infine quella di guardarsi dagli anticristi (2,18-29), che evidentemente già erano all’opera e circolavano nelle chiese del I secolo. In merito a quest’ultima, vorrei fare una breve riflessione, per poi concludere tornado alla prima esortazione. Come si evince da questo testo (2,18-29), dalle lettere di Giovanni in genere, e da altri testi del Nuovo Testamento, imparare a distinguere “il vero dal falso” (i veri fratelli dai falsi fratelli; la vera dottrina dalla falsa dottrina; i veri maestri dai falsi maestri; la vera fede dalla apostasia; la verità dall’errore; i veri scritti apostolici ispirati dallo Spirito Santo da quelli falsi che circolavano in alcune chiese) è un dato molto antico, che risale alle prime comunità, o meglio, all’insegnamento degli apostoli. Sono gli stessi apostoli, di persona o mediante i loro collaboratori e i loro scritti, che insegnano alle chiese e ai cristiani a riconoscere e distinguere il vero dal falso. Sono gli apostoli a stabilire il criterio di distinzione. E questa “regola” è oggi negli scritti del Nuovo Testamento. Non è allora vero che sarà solo nell’epoche successive agli apostoli che le chiese stabiliranno “la regola” o i criteri per distinguere il vero dal falso, la verità dall’errore e dall’eresia. Basta leggere, ad esempio, l’intera lettera di Giovanni per convincersi che agli anticristi Giovanni contrappone la vera confessione di fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato. È la Scrittura, e non un dato umano o ecclesiale del tutto soggettivi, che stabilisce ciò che è vero e ciò che è falso: è vero ciò che proviene da Dio, ciò che ha origine divina, trasmesso alle chiese mediante gli uomini ispirati e i loro scritti; è falso tutto ciò che ha una origine o provenienza umana, tutto ciò che si oppone a Dio e alla verità trasmessa nella Scrittura. È dunque nella Scrittura la regola o il criterio che ci fa “camminare nel modo che egli camminò” (2,6). Torniamo ora alla prima esortazione. Il richiamo all’osservanza dei comandamenti è motivato, tra le altre cose, dal fatto che l’eresia gnostica, sviluppatasi all’epoca di questo scritto e presente nell’insegnamento di alcuni falsi maestri, sosteneva che la salvezza dell’uomo era possibile solo attraverso una conoscenza approfondita, teorica e superiore di Dio, senza alcuna implicanza di natura etica. Questa conoscenza, detta “gnosi”, dal greco “gnosis”, portava a considerare il corpo dell’uomo, con le sue passioni e i suoi peccati, come irrilevanti. Si praticava una sorta di separazione, una dicotomia, tra corpo e spirito. Ciò significava un totale disinteresse per la vita quotidiana e pratica del cristiano. Secondo Giovanni invece conoscere Dio non è tanto una questione teorica, quanto pratica: conoscere Dio significa amare Dio, conoscere la sua volontà e conformare la propria vita ad essa.