Bibbiaoggi
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Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il capitolo 22 del primo libro dei Re racconta la guerra contro i Siri e la morte di Acab, re d’Israele. Poco prima, nel capitolo 20 un profeta anonimo annuncia ad Acab la sua morte (20,42). Benché in 1 Re 21,27-29 la fine della sua dinastia sia stata differita, dopo il suo pentimento, la condanna rimane in vigore. Acab, assieme a sua moglie Izebel, è colpevole di tanti delitti (l’uccisione dei profeti di Dio e la morte di Nabot, per esempio), ma soprattutto è colpevole di aver fatto ciò che è male agli occhi del Signore. In questo capitolo che narra la fine di Acab si parla del profeta Micaia ben Imla: è il profeta che per l’ultima volta annuncia al re il giudizio di Dio. A nulla vale il tentativo di Acab di soffocare la parola del profeta facendolo imprigionare; a nulla vale il travestimento nella battaglia contro i Siri per non essere riconosciuto e ucciso: la parola del Signore si compie ugualmente. Acab non può sfuggire al giudizio di Dio. Dopo un breve commento al testo, faremo una riflessione sulla profezia e la parola profetica di Micaia figlio di Imla.

Dopo tre anni senza guerra tra la Siria e Israele, Giosafat, re di Giuda, e Acab, re d’Israele si alleano per far guerra alla Siria. Acab vuole riconquistare Ramot di Galaad, una città strategica al di là del fiume Giordano. Le relazioni amichevoli fra Acab e Giosafat, cominciate con Omri, si rinsaldano con le nozze tra la figlia del re di Israele e il principe ereditario di Giuda (2 Re 8,18). Si spiega così la visita di Giosafat ad Acab, che ne approfitta per trascinare il re di Giuda a una lega contro il re di Damasco, per imporgli con la forza la restituzione di Ramot in Galaad, promessa (20,34) ma non eseguita. Il re Giosafat accetta l’alleanza per motivi politici, tuttavia non avrebbe dovuto farlo per motivi spirituali, perché era fedele al Signore. Giosafat desidera conoscere la volontà di Dio prima di iniziare la guerra. Acab raduna i profeti, in numero di quattrocento, i quali lo incoraggiano a far guerra contro i Siri. Qualcosa non convince Giosafat, nonostante il gran numero dei profeti, il quale chiede ad Acab se c’è qualche altro profeta del Signore che si possa consultare. Acab risponde che c’è Micaia, ma lui lo odia, perché non gli predice mai nulla di buono. Un eunuco convoca Micaia a palazzo, davanti ai due re seduti sui troni e vestiti degli abiti regali. A Micaia viene chiesto di essere concorde nel profetare con ciò che avevano detto i quattrocento profeti, tutti al servizio del re, per questo profetavano soltanto ciò che il re voleva sentirsi dire. La risposta di Micaia: “Io dirò quello che il Signore mi dirà”. Giunto davanti al re, Micaia inizialmente dice al re di fare la guerra contro i Siri, ma Acab non è convinto che quella sia la volontà di Dio. Così il re chiede al profeta di dire la verità, e Micaia gli annuncia la sua fine, con una immagine: Israele è disperso per i monti come un gregge senza pastore. A questa del pastore e del gregge segue un’altra immagine, quella della corte celeste: Micaia vede uno spirito di menzogna che inganna i quattrocento profeti di Acab. Il re non è certo contento della predizione di Micaia e lo fa rinchiudere in prigione. L’avverarsi della profezia dimostrerà che Micaia è un vero profeta di Dio. Giosafat e Acab vanno in guerra contro Ramot di Galaad, i Siri. Acab si traveste nel tentativo di salvarsi la vita, mentre chiede con inganno a Giosafat di vestirsi degli abiti regali, ma durante la battaglia un uomo tira “a caso” (questo è un caso di quelli che non sono casi) una freccia e ferisce il re mortalmente. Acab viene messo sul suo carro, ma perde molto sangue per la ferita e la sera muore. Quando gli uomini lavano il carro pieno di sangue presso lo stagno di Samaria (“in quell’acqua si lavavano le prostitute”), i cani vanno a leccare il sangue di Acab, secondo la parola del Signore detta tramite il profeta Elia (21,19).

Questo capitolo 22 del primo libro dei Re ci insegna diverse cose sul profeta e sulla profezia. Prima di tutto, esso è un bell’esempio di compimento della parola profetica. Ci informa che i profeti erano consultati dai re per conoscere il volere del Signore, in particolare riguardo all’esito di una battaglia. Ci fa capire che i quattrocento profeti di cui si parla non sono profeti di Baal, ma profeti che sono al servizio del re: predicano ciò che egli vuole sentire; Micaia invece è un vero profeta che riferisce le parole del Signore, e ciò che egli dice si avvera. Ci dice che non può esserci accordo tra i profeti che sono al servizio del potere politico e il profeta del Signore e che non è la maggioranza il criterio di verità (quattrocento profeti dicono la menzogna, uno solo dice la verità). Infine ci insegna che Dio ha il controllo di tutto e che egli è la causa ultima di tutte le cose: persino lo spirito di menzogna che inganna Acab è permesso da Dio, perché Acab non vuole credere alla vera parola profetica.

Paolo Mirabelli

18 aprile 2024

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