Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

In una tesi di laurea sulla storia delle Chiese di Cristo della Calabria, pubblicata nel 1976, Anna Principe intervistò il fratello Salvatore Puliga, il quale in quegli anni svolgeva attività missionaria nelle provincie di Cosenza e di Catanzaro. Il testo che segue riporta le domande della sorella Anna e la risposta di Salvatore Puliga. Alle domande di Anna, Salvatore Puliga ha risposto con un discorso unitario.

Le domande poste

1) 27 anni fa (esattamente dal 1949) è iniziato anche in Italia a Frascati, con l'opera dell'orfanotrofio di Villa Speranza, il movimento di restaurazione della chiesa apostolica da parte di un gruppo di missionari americani. Tu sei stato uno dei protagonisti di quel tempo. Ci puoi raccontare come valuti a distanza di così tanto tempo l'iniziativa, i motivi, l'opera evangelistica in senso più generale che fioriva attorno?

2) Quali sono stati secondo te i fatti più salienti della vita delle chiese nei primi dieci anni (1949-1959)?

3) Quali sono stati, sempre secondo te, gli errori più chiaramente identificabili di quegli anni e quali, invece, le caratteristiche del lavoro (anche metodi e iniziative) che ti sembrerebbero ancora da continuare e che magari si sono perdute di vista?

4) Nel 1956, secondo i rapporti di quel tempo, c'erano comunità con un lusinghiero numero di membri (Milano 68; Roma 50: Palermo 50; Padova 50: Catania 45: Alessandria 14). Oggi a distanza di 19-20 anni i membri di quelle prime comunità non sono aumentati, anzi sono diminuiti e, quasi ovunque, molti membri di allora non ci sono più con un avvenuto scambio quasi totale. In più, da una valutazione generica da tutti facilmente accertabile, sembra che il numero totale dei membri in Italia non sia molto di più. A tuo avviso come analizzi, come valuti queste cifre e quale importanza gli attribuisci?

5) Che peso hanno avuto i gravi episodi di intolleranza verso il lavoro di quegli anni di cui si rese responsabile la gerarchia cattolica, con l'aiuto di carabinieri e polizia? Hanno in qualche modo indirettamente favorito la diffusione dell'opera, oppure no? Perché?

6) Si parla molto oggi tra tutte le varie chiese, protestantesimo e cattolicesimo, della questione dell'identità della chiesa. Secondo te, in quale misura è sentito o esiste questo problema per le nostre comunità?

7) La consistenza di una comunità che si richiama a Gesù Cristo è data dalla misura in cui è fedele al suo messaggio, si lascia guidare dalla paternità di Dio, vive concretamente e praticamente l'amore con i fratelli in fede e con tutti gli altri uomini. Se questo è il centro dell'evangelo, verso quali orientamenti pratici o ideali, a tuo avviso, dovremmo meglio incamminarci, come Chiese di Cristo degli anni '70?

Risposta di Salvatore Puliga

Quando nel dopoguerra iniziò il lavoro missionario in Italia si faceva molto per andare incontro ai bisogni della popolazione, che era in estremo bisogno, essendo appena usciti da una guerra vissuta e sofferta.

Questo ci aprì molto porte. Tuttavia penso che i risultati che si ottenevano si debbano vedere nel nostro andare di casa in casa, sia per porgere la nostra mano soccorritrice come per presentare Cristo nel cui nome si faceva ogni cosa.

Credo anche che molto abbia contribuito l'attacco, direi molte volte isterico, che la Chiesa cattolica ci faceva. Erano continui dibattiti, atti di intolleranza di ogni genere e il clero, i frati e i giovani di azione cattolica, parroci in testa, non ci pensavano su due volte a scendere a vie di fatto. Vedi il tentato linciaggio fatto al sottoscritto a Castel Gandolfo, i dibattiti sostenuti per tre mesi a Borghetto di Grottaferrata, le minacce di Monte Compatri, Rocca di Papa, Aprilia, Alessandria, ecc. A questo va aggiunta l'intolleranza della autorità di governo: a Serra Pedace fui minacciato di smettere l'evangelizzazione pena il ritorno alla città d'origine con foglio di via obbligatorio. I processi di Scalea, di Spezzano Piccolo, e altri lo testimoniano. Tutto questo serviva a tenere vivo l'interesse dell'opinione pubblica e faceva di noi degli operai più zelanti.

Nel principio l'opera era circoscritta in Roma e nei Castelli Romani, ma presto il lavoro cominciò a spostarsi in altre zone d'Italia e così si poté riscontrare un crescendo numerico. I missionari non erano molti ma direi bene distribuiti; fra di noi non c'erano beghe e tutti si lavorava per la gloria di Cristo. Il calo numerico che poi si è manifestato credo che molto si debba attribuire al modo di lavorare.

Penso sia sbagliato lasciare le comunità dopo poco tempo della loro esistenza in balia di se stesse solo per il fatto di andare in un altro posto. Non credo sia necessario fare delle dettagliate citazioni che tutti del resto conosciamo.

A nostro avviso, parlo anche a nome delle chiese di Calabria, crediamo che negli anni '70, come per ogni tempo presente e futuro, l'obiettivo sia quello di portare avanti con fedeltà il messaggio di Cristo, praticare la carità e l'amore fra noi e con tutti gli uomini, perché ognuno possa vedere in noi trasparire il volto di Cristo.

Noi crediamo che sia questo l'orientamento pratico verso il quale ci dobbiamo dirigere, perché solo così si potranno ottenere quei primieri risultati che oggi si rimpiangono. Che il Signore ci aiuti.

Ciò premesso, io sono il primo a riconoscere l'apporto positivo che i fratelli missionari americani hanno dato, stanno dando, e daranno al lavoro in Italia, tuttavia, a me sembra che nel loro modo di fare ci sia un errore. Alcuni fratelli americani vanno in una certa zona, fanno un buon lavoro, nasce la comunità, poi per fattori contingenti sono alle volte costretti o a rientrare nei loro paesi di origine, o si trasferiscono perché assegnati ad altri impegni da parte delle loro comunità.

Comunque, lasciano il posto di lavoro. Il risultato è che la comunità si ridimensiona e qualche volta sparisce del tutto. Il nostro popolo ha una secolare tradizione cattolica che non si può cancellare dalla mente delle persone con il classico colpo di spugna. Vedrei pertanto la necessità che in ogni lavoro siano insieme, uniti da vero spirito di collaborazione il missionario americano e il predicatore italiano, consapevoli tutti e due essere alle dipendenze di un unico padrone: il Signore.

Quando dunque il fratello americano dovrà andare in un altro posto ci sarà nella comunità chi può continuare l'opera in quanto cominciata insieme. Solo così si possono evitare i cali numerici che denunciamo. Catania ne è un esempio. Inoltre non è buono creare degli accentramenti di forza in un solo luogo, città o regione: “La messe è grande e pochi sono gli operai” (Matteo 9, 37).

L'intolleranza religiosa dei primi tempi è stata un'arma a doppio taglio che servì come sopra detto a tenere desta maggiormente l'opinione pubblica e l'interesse del popolo al messaggio cristiano. La cosa servì anche come selezione; sono molti coloro che si avvicinarono a noi solo per curiosità, anche molti coloro che accettarono con leggerezza e poi non avendo avuta la forza spirituale necessaria sono tornati dove erano venuti: “Molti sono usciti fuori di fra noi perché non erano dei nostri” (1 Giovanni 2, 19). Per altri invece è servita di rafforzamento e così si è verificata la selezione.

L'identità delle chiese. Problema molto spinoso. Io penso che se questo potesse verificarsi sarebbe senz'altro una cosa buona, solo che per ora non riusciamo a vedere questa possibilità. Non si vuole fare questo con quello spirito che il vangelo vuole, ognuno è dominato dal proprio personalismo e ognuno pensa di prevalere sull'altro. Questo non è secondo il piano di Dio e serve solo ad allontanare maggiormente gli uomini da Dio stesso.

Fino a quando tutti non torneranno all'insegnamento veridico del vangelo, senza apportare innovazioni di dottrina e di pratica, questo non lo crediamo possibile.

(Salvatore Puliga, Casole Bruzio 1976)

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