Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il nome Geremia in ebraico dovrebbe significare: “Il Signore innalza”. È un nome teoforo, formato o composto dal nome di Dio. Il significato del nome ci dà una chiave di lettura del libro di Geremia. È il Signore che si leva nella vita e nella predicazione di Geremia. Con i suoi 52 capitoli, Geremia è il più lungo di tutti i libri profetici dell’Antico Testamento, anche se Isaia ha 66 capitoli. Anche se il libro non abbonda di brani cristologici, Geremia (il poeta divenuto profeta) irrompe più di qualsiasi altro profeta nelle pagine dell’Antico Testamento come tipo e modello di Cristo. Isaia annuncia il Messia promesso con le parole, Geremia lo fa con la sua vita e il suo ministero. Se si fa una lettura tipologica, si possono ricavare tanti riferimenti a Cristo. Sono, infatti, tanti i particolari che trovano una corrispondenza nella vita e nel ministero di Gesù Cristo. Non sorprende allora la risposta della gente alla domanda di Gesù: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o uno dei profeti” (Matteo 16,14).


Nessun altro profeta ci ha lasciato tanto della sua vita nel libro. Di nessun altro profeta ci vengono trasmesse così tante notizie in merito alle difficoltà che dovette affrontare e alle sofferenze che subì a motivo del suo ministero profetico. Nessun altro profeta si pone di fronte a noi nella sua umanità così chiaramente come Geremia. In nessun altro profeta la sua vita personale è così intrecciata al suo ministero profetico e agli eventi politici di cui parla il libro di Geremia. Di Geremia sappiamo molte cose. Il suo libro è ricco di notizie biografiche e di personaggi di contorno del protagonista. L’autore si presenta spesso in prima persona, con parole molto personali che rivelano il suo stato d’animo, come nelle “confessioni”. A differenza degli altri profeti, che spesso sono nascosti dietro il messaggio, Geremia si offre in primo piano con una immediatezza sorprendente.


Il ministero di Geremia durò per lungo tempo, si estese sotto tre re: Giosia, Ioiakim e Sedecia, fino alla deportazione in Babilonia. Il profeta si rallegrò della celebre riforma del re Giosia: quando il re morì a Meghiddo, combattendo contro il faraone Neco, ne rese una buona testimonianza (22,15-19). Fu invece ostile a Ioiakim che governò con crudeltà e senza scrupoli, un re che non aveva occhi né cuore (22,17). Sedecia fu un re che non ebbe la forza di opporsi al partito filoegiziano. Geremia fu perseguitato e messo in prigione a causa della sua predicazione contro il peccato, la corruzione e le alleanze politiche. I babilonesi lo liberarono e lo trattarono con riguardo: gli permisero di rimanere fra le rovine della città con i poveri che non erano stati deportati. Il popolo, temendo la reazione dei babilonesi, fuggì in Egitto e trascinò con sé Geremia (40,7-43,7). Il profeta venne condotto in Egitto contro la sua volontà, da un gruppo di esuli volontari. In Egitto egli incoraggiò i fratelli e li esortò al ravvedimento. In Egitto si perdono le tracce: non si sa quando né come sia morto Geremia.


La profezia di Geremia è caratterizzata dalla centralità della teologia del patto. Il popolo di Israele ha abbandonato il patto, e dunque Dio, ed è sotto il giudizio del Signore. La rovina della nazione e del tempio sono la conseguenza dell’avere abbandonato Dio. Nel libro della consolazione Geremia annuncia che Dio avrebbe stipulato un nuovo patto con la casa di Giuda e di Israele e avrebbe fatto rifiorire la speranza. La predicazione di Geremia si inserisce in un quadro di vicende drammatiche e complesse che spesso vedono intrecciarsi fede e politica. Il suo libro abbonda di riferimenti a grandi avvenimenti della storia, ma anche a fatti della vita quotidiana, visti sempre in rapporto con ciò che più stava a cuore a Geremia: la fedeltà al Signore.


Per Geremia il culto idolatrico non solo è inutile, ma diventa dannoso per chi lo pratica. Evidenzia la nullità degli idoli, incapaci sia di giovare a chi si rivolge a loro sia di recare danno a chi li ignora. Nel momento della necessità, a chi si affida agli idoli viene a mancare l’aiuto richiesto, e l’uomo si trova in balia di se stesso, abbandonato alle proprie forze. L’uomo, argilla nelle mani del vasaio, ha assoluto bisogno di Dio. Abbandonare il Signore per gli idoli è come lasciare la sorgente d’acqua e illudersi di attingere acqua dalle proprie cisterne, che non possono nemmeno raccogliere e serbare l’acqua piovana dispersa in terra, perché sono screpolate (2,12-13). L’uomo dipende totalmente da Dio, che è l’unica fonte d’acqua pura che può dissetare. Nella immagine della sorgente è racchiusa anche la convinzione della ricchezza infinita che si trova in Dio. Come con Geremia, il Signore si leva nelle nostre sconfitte e scoraggiamenti per rialzarci ogni volta e condurci sempre avanti.

Paolo Mirabelli

30 novembre 2022

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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