Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Nella coscienza popolare il profeta dell’Antico Testamento è descritto come una specie di indovino, in preda a uno stato mantico, proiettato a tele-vedere il futuro; un uomo dei tempi agitati. In realtà il profeta è uomo del presente, coinvolto nelle vicende concrete del suo popolo. Per questa ragione gli oracoli sono spesso collocati in un contesto storico ben preciso. La sua missione è soprattutto quella di mostrare al popolo d’Israele l’agire di Dio nella storia e aiutarlo a scoprire i segni dei tempi. Il suo messaggio ha certamente pure una dimensione futura, escatologica, universale: diverse sono le profezie sulla venuta del Messia (Gesù) e i nuovi tempi da lui inaugurati. I profeti sono presenti nei momenti di crisi e di svolta della storia d’Israele: Samuele all’inizio della monarchia, Natan nella politica di Davide, Ahija di Silo nella scissione del regno, Ezechiele al tempo dell’esilio.


Ezechiele apparteneva a una famiglia sacerdotale, in servizio nel tempio di Gerusalemme. Era figlio di Buzi e il suo nome significa “Dio fortifica”. Dopo l’assedio di Gerusalemme, quando era ancora in giovane età, venne a trovarsi tra coloro che Nabucodonosor deportò in Babilonia insieme al re di Giuda Ioiachin. I deportati erano schiavi e costretti ai lavori forzati. Ezechiele provò sulla sua pelle le sofferenze del suo popolo. Insieme agli altri esiliati fece esperienza di cosa significhi vivere in una terra pagana. Alcuni pensavano che trovarsi lontani dal tempio di Gerusalemme significasse vivere lontani da Dio (11,15-16). Presi dallo sconforto in molti esclamavano: “Diventeremo come le nazioni, adoreremo il legno e la pietra!” (20,32). Grande era la nostalgia per Gerusalemme, come ci ricorda il Salmo 137: “Lungo i fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion”. Ma proprio lungo le rive di un fiume, il torrente Kebar, Ezechiele ebbe una visione della gloria del Signore. Il Signore lo chiamò al suo servizio, lo costituì profeta e gli diede l’appellativo di “figlio dell’uomo”. Il Signore non aveva abbandonato i deportati, ma era presente in mezzo al suo popolo anche in terra straniera. Ezechiele rimase vinto da quella esperienza meravigliosa. Ingoiò il rotolo di Dio (simbolo della assimilazione della parola di Dio). Rimase una settimana intera senza parlare, poi iniziò l’attività di profeta in ubbidienza alla volontà di Dio.


I destinatari della sua predicazione erano i suoi stessi compagni di esilio. Gli anziani, responsabili della comunità esilica, si rivolgevano a lui anche per consultarlo. Nella prima fase della sua attività profetica si trovò in una situazione di grande tensione. La speranza degli esuli di tornare in patria era al momento una illusione. Con il suo annuncio deludeva le attese di quegli uomini con i quali condivideva sofferenze e speranze. Gerusalemme non offriva più nessun sostegno. L’idolatria, la disubbidienza a Dio, la trasgressione della legge, l’ingiustizia sociale, la politica sbagliata dei capi, tesi a ricercare alleanze umane, erano la ragione della rovina di Giuda. In una visione fu mostrata al profeta l’idolatria che dilagava a Gerusalemme. Vide anche la gloria del Signore che abbandonava il tempio e la città. Il giudizio di Dio era ormai irrevocabile. Nemmeno la presenza di uomini come Noè, Daniele e Giobbe, avrebbe potuto salvare il popolo d’Israele. Ezechiele parlava agli esuli (non certo al vento del deserto) e il suo uditorio rappresentava tutto Israele. Poco tempo prima della fine dell’assedio, morì la moglie di Ezechiele, delizia dei suoi occhi, ma il Signore gli proibì di fare lutto e di esternare il suo dolore. Il profeta doveva prefigurare con la sua vedovanza la condizione degli esuli dopo la caduta di Gerusalemme; la sua vita stessa divenne veicolo del messaggio divino, e i segni, i simboli e i gesti avevano una funzione pedagogica. Era finito il tempo della misericordia e del perdono, ma la distruzione non era fine a se stessa: l’esilio servì a togliere al popolo ogni falsa sicurezza, a rinunciare alle alleanze umane, a imparare che Dio è il Signore.


A differenza di Geremia, Ezechiele poté continuare la sua missione in mezzo agli esuli anche dopo la caduta di Gerusalemme, e contribuire a ricostruire la comunità esilica. La sua attività profetica ebbe una nuova caratteristica: quella della sentinella. Nella sua predicazione dell’ultimo periodo egli continuò a parlare dell’agire di Dio, ammonì coloro che confidavano nella propria giustizia, corresse delle opinioni disperate e fatalistiche, rimproverò chi accorreva per ascoltare la parola di Dio con superficialità, come si ascolta una canzonetta d’amore (33,30-33). In molti dei suoi oracoli il profeta Ezechiele annunciò un nuovo inizio ad opera di Dio: un nuovo esodo, una nuova vita, un nuovo tempio, la gloria e la presenza di Dio. Le sue parole acquistano senso alla luce di Gesù.

Paolo Mirabelli

17 febbraio 2022

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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