Ci sono problemi che sono legati a un determinato periodo storico, o anche a una fase della nostra vita. Ci sono invece problemi che interessano l’esistenza umana, veri in ogni tempo, che superano l’interesse immediato. Ci sono domande che riflettono sui problemi di sempre. Abacuc è uno di quei profeti che, anche se ancorato nel suo tempo, dà risposta ai problemi e alle domande di sempre. Gli interrogativi di Abacuc sono quelli che la gente di oggi continua a proporre. Sin dall’inizio del suo libro il profeta pone delle domande angosciate. Perché Dio non interviene contro le ingiustizie? Perché non elimina il male? Come è possibile che Dio sappia, che abbia conoscenza, e stia zitto e non intervenga? Come si può parlare di un Dio giusto, quando il male e l’ingiustizia dilagano nel paese? Cercare di conciliare la presenza del male con l’esistenza di Dio è un quesito che da sempre interessa l’uomo di fede. A queste domande di Abacus, l’uomo di oggi ne aggiunge un’altra: Si può ancora parlare di Dio? In termini più espliciti: Esiste veramente un Dio?
Di Abacuc non abbiamo notizie biografiche. Si ignora quasi tutto. Non sappiamo nulla di lui. Anche l’etimologia del suo nome è incerta: sembra indicare un albero da giardino o una pianta acquatica. Abacuc rimane un profeta misterioso, quasi o voler dire che di fronte a certi misteri (quesiti) non ci sono soluzioni o risposte, se non quelle date dalla rivelazione di Dio. Invece sul periodo storico in cui il profeta visse possiamo ricavare qualche dato dai cenni e dalle allusioni contenute all’interno della sua profezia. La sua collocazione storica sembra coincidere con l’epoca dell’empio Ioiakim, successore del re Giosia. Il riferimento ai Caldei (Babilonesi), “un popolo feroce e terribile”, che il Signore stava per suscitare contro Giuda infedele, conferma tale conclusione. Le affermazioni di Abacuc (Dio salva chi si affida a lui) hanno avuto diverse risonanze nella storia d’Israele e hanno permesso di affrontare momenti difficili anche quando gli invasori furono altri, i Greci o i Romani. I cristiani sanno di poter contare su Dio, che può liberarli da ogni pericolo e minaccia. La fede in Dio mette al sicuro: “Il giusto per la sua fede vivrà”, dice Abacuc (2,4). “Se non avete fede, certo non potrete sussistere - comprendere” (“’im lo’ ta’amìnu kì lo’ te’amenu”), dice Isaia 7,9.
Abacuc affronta innanzitutto l’ingiustizia all’interno del suo popolo e annuncia il giudizio e il castigo di Dio su Giuda. La denuncia del peccato è vigorosa, come in altri profeti, ad esempio Isaia (5,7-25). Si potrebbe mettere a confronto i “guai” del capitolo 2 (“accumulare ciò che non è suo, mettere il suo nido in alto, fare violenza al Libano”) con la critica di Geremia rivolta al re Ioiakim (22,13-19). Sono comunque temi sempre attuali. Il libro inizia con la domanda di Abacuc rivolta a Dio: “Fino a quando, o Signore?”. È la domanda di molti Salmi; la domanda che attraversa l’intera Bibbia e la storia della chiesa, giungendo fino a noi oggi. Abacuc riflette sul tema o problema della teodicea (già affrontato dal libro di Giobbe). Nel suo lamento domanda a Dio il perché non gli dia ascolto e il perché tolleri l’iniquità e non intervenga. La prima risposta di Dio (stanno per arrivare i Caldei) crea al profeta più problemi di quanto ne risolva. Da ciò scaturisce il secondo lamento: i Caldei (Babilonesi) sono più colpevoli e peccatori di chiunque capiti nelle loro reti, giusti compresi, come può allora Dio servirsi di una nazione così malvagia per punire il suo popolo? La risposta di Dio: chi rimane fedele non sarà colpito dal castigo riservato ai peccatori. L’ingiusto sarà punito e cadrà, ma “il giusto per la sua fede vivrà” (2,4), salverà la vita. Questa frase è diventata celebre per l’uso che ne fa l’apostolo Paolo (e il Nuovo Testamento) nella giustificazione per fede (Romani 1,17; Galati 3,11; Ebrei 10,38). I cinque “guai” che concludono il capitolo 2 sono rivolti contro i trasgressori della legge di Dio.
Una preghiera di tipo innico conclude il libro di Abacuc. Lo schema (movimento) del libro ci offre già un itinerario di comprensione: alla domanda del profeta segue la prima risposta di Dio (capitolo 1); il profeta torna sulla sua vedetta e aspetta fiducioso che Dio risponda alla sua rimostranza (capitolo 2); la preghiera finale (capitolo 3) è una confessione di fede nel Dio che non è tenuto a chiarire ogni cosa. La domanda di Abacuc non è filosofica o accademica, ma nasce da una situazione concreta d’Israele. La soluzione ai grandi problemi e interrogativi della vita non può venire dai ragionamenti umani, ma dalla preghiera, dallo sguardo di fede: il Dio che governa il creato sa come gestire le vicende umane. Nella finale del libro, Abacuc con la sua fede guarda oltre le apparenze, e dopo la devastazione vede spuntare l’aurora di gioia: “Il fico non fiorirà, non ci sarà frutto nelle vigne, ma io gioirò nel Signore”.