Questo oracolo di Isaia è rivolto agli assetati e affamati: fa pensare ai deportati a Babilonia nella prospettiva del ritorno in patria e della ricostruzione; trova un’eco nell’Apocalisse di Giovanni (22,17); rimanda a Gesù che offre a tutti acqua e pane della vita. I primi versetti esprimono l’invito con la metafora dell’acqua e del cibo. Il profeta, come un venditore ambulante, è inviato da Dio a offrire al popolo i beni della vita e la vita stessa: acqua e pane, come nel primo esodo, latte della terra promessa, vino del banchetto messianico, succo e delizie con cui dissetarsi. Il dono offerto rimanda al messaggio stesso: dalla manna alla parola di Dio (Deuteronomio 8,3). L’invito di Isaia ricorda il capitolo 4 del Deuteronomio. L’acqua, per un popolo che è segnato dall’esperienza del deserto, è sinonimo di vita. Il cibo senza denaro, senza fatica, richiama forse alla condizione originaria del giardino dell’Eden. Mentre l’espressione “perché spendere denaro per ciò che non è pane” sembra alludere alle pratiche idolatriche e ai culti pagani della fertilità di chi pensava di assicurarsi con offerte e sacrifici la protezione di divinità false e ingannatrici. L’idolatria li ha nutriti di “cenere” (44,20); solo il Signore può dare loro ciò di cui hanno bisogno. Il verbo “venire”, che rinvia a tutte le necessità fondamentali dell’uomo, è un invito alla conversione, un invito ad andare o a ritornare al Signore, il solo che può dare vita al popolo.
Isaia 55 sollecita tutti a dare ascolto alla parola di Dio, sicuri dei suoi splendidi frutti. I tre versetti iniziali del brano sintetizzano questa sollecitazione con paragoni facili e incisivi. Il versetto 1 invita a procurarsi i beni materiali, da quelli necessari di acqua e pane a quelli sovrabbondanti di vino e latte, pur senza denaro e senza spese. Con espressioni simili, il libro dei Proverbi invita ad ascoltare la parola di Dio, saggia e feconda di vita (9,5.11). Il profeta intende la stessa cosa. Ma sembra anche imitare le grida dei venditori per reclamizzare la loro merce, che stanno all’origine del paragone. Ciò gli permette di evidenziare i benefici anche materiali, che per i deportati erano il ritorno in patria e la ricostruzione, e di polemizzare con gli spacciatori di merci false. Il versetto 2 riferisce esplicitamente il paragone degli acquisti all’impegno di ascoltare la parola di Dio. Lo fa prima mettendo in guardia dallo spendere per ciò che non è pane e che non sazia e poi con l’invito “ascoltatemi”, per avere le cose buone e i cibi succulenti. Le allusioni sono ai predicatori di altri messaggi, magari di pessimismo e di rassegnazione, comunque in contrasto con quello del profeta. Il versetto 3, ormai fuori dai paragoni, insiste sul rapporto tra parola di Dio e vita. Ripete per tre volte: “Porgete l’orecchio, venite a me, ascoltate e vivrete”. E assicura le conseguenze concrete: “Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide”. Questo rapporto avvicina l’oracolo all’invito di Gesù: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Matteo 6,33). Lo pone in linea col messaggio della moltiplicazione dei pani e dei pesci; ed esclude l’interpretazione spiritualistica data da qualcuno al versetto precedente, quasi escludesse la ricerca del pane materiale per dedicarsi solo al cibo spirituale. Per Isaia, come per Gesù, la parola di Dio è fonte di vita piena, per lo spirito e per il corpo.
La gratuità del cibo (“venite, comprate senza denaro, senza pagare”) rientra nella dimensione escatologica che il banchetto riveste ed è espressione di una istanza di giustizia e fratellanza da cui nessuno può restare escluso. Riprendendo le espressioni di Apocalisse 21,4, che evocano la situazione della Gerusalemme celeste, dove non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno, noi potremmo dire o aggiungere che “non ci sarà più fame”. Ma sperare un mondo dove non esista più la piaga della fame e dove non si muoia più per fame, ha il prezzo dell’impegno quotidiano, qui e ora, per dar da mangiare agli affamati, per debellare le cause strutturali che riducono alla fame intere popolazioni. Qualcuno ha scritto che mangiare è un’arte. Gli animali si pasturano; l’uomo mangia. Il testo di Isaia inizia con un invito. Dunque a mangiare si è chiamati. È il nostro corpo che ha bisogno di mangiare. Ma poi, giacché gli uomini mangiano insieme, il banchetto è segnato da un invito che altri ci rivolgono. E mangiare significa anche attendersi e condividere (ciò a cui Paolo richiama i cristiani di Corinto nella sua prima lettera, al capitolo 11). Il cibo che sfama non è tanto quello costituito da “grasse vivande e vini eccellenti” (25,6), quanto quello evocato negli imperativi di Isaia, e cioè quello offerto da Dio a chi lo “ascolta attentamente e va a lui”.