Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Nel capitolo 17 del libro degli Atti degli Apostoli, Luca riporta il discorso di Paolo all’Areopago, nella città di Atene. È un testo di particolare importanza perché mostra come avvenne l’annuncio del Vangelo fra i pagani. La predicazione dell’apostolo non prende la via delle “profezie” (Gesù adempie le profezie dell’Antico Testamento), né si rivolge ai “padri”, come fa quando predica ai giudei; percorre strade nuove, come il tema dei segni nella creazione, sempre però alla ricerca di agganci e richiami. Nella predicazione Paolo non si richiama alla Legge di Mosè, ai Profeti e ai Salmi, come fa quando predica agli ebrei, perché i pagani non conoscono le Scritture. Paolo si serve di altri temi che non sono citazioni di profezie dell’Antico Testamento, ma non abbandona affatto il pensiero biblico. Tutt’altro. In questo breve articolo proveremo ad individuare alcuni (cinque) dei grandi temi della predicazione di Paolo ai pagani, per gustare la potenza dei suoi discorsi e per coglierne la sostanza e le linee principali della predicazione del Vangelo alle genti.


Un primo tema è l’analisi che Paolo fa della religiosità pagana. Nel suo precedente discorso a Listra (Atti 14) la definisce vana e inconsistente; una realtà vuota. Vanità è il termine usato dai LXX per definire gli dèi e l’inconsistenza dell’idolatria. Questa terminologia, ripresa dal Nuovo Testamento, indica tutto ciò che si oppone al primo comandamento ed esprime la condanna della presunzione del pensiero umano, degli idoli pagani e il comportamento peccaminoso. Il giudizio piuttosto negativo è qui mitigato, attenuato, ma non taciuto. All’Areopago Paolo fa un excursus della religiosità degli ateniesi: oggetti di culto, templi, altari, l’altare al “Dio ignoto”. La sua analisi è una critica radicale, se pure rispettosa, al modo di concepire il culto e la divinità; è una accusa di “ignoranza” ai sapienti greci. L’altare al Dio ignoto dà a Paolo l’occasione per presentare il vero Dio: Dio non è come voi pensate, Dio è ciò che le sue opere testimoniano e mostrano.


Un secondo tema è la proposta del Dio vero che Paolo fa ai suoi ascoltatori. I filosofi stoici erano stanchi di avere tanti dèi, capricciosi, incapaci e impotenti, in lotta tra loro, e sentivano il bisogno di un Dio (un monoteismo pratico?) che però non conoscevano, perché non conoscevano le Scritture. Ad Atena Paolo parla del Dio che ha fatto il mondo e che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa, le cui impronti sono nel creato. È impossibile per l’uomo racchiudere un tale Dio in uno spazio, un tempio. Anche alcuni filosofi affermavano che Dio ha fatto il kosmos (mondo), e da Platone in poi si diceva che Dio non ha bisogno di nulla. Queste idee filosofiche permettono a Paolo di avere dei punti di contatto con il pensiero greco, degli agganci. Tuttavia Paolo non parla da filosofo (non usa sofismi o motivi filosofici), ma da predicatore del Vangelo: nel suo discorso riassume diversi brani dell’Antico Testamento (Isaia e altri). L’alternativa al culto pagano, che si manifesta nella pluralità di dèi e in forme di umanizzazione della divinità, è l’annuncio del Dio vivente e vero. È Dio, non l’idolatria, la risposta al bisogno profondo dell’uomo.


Un terzo tema è quello dei “tempi dell’ignoranza”. L’ignoranza è ciò che definisce e caratterizza il paganesimo. Lasciare che ogni popolo seguisse la propria strada ha un senso fortemente negativo. Paolo in Romani capitolo 1 fa una lunga riflessione sui tempi dell’ignoranza, definendoli foschi e dandone un giudizio negativo. Il Dio che si è rivelato ai profeti è un Dio che si prende cura del suo popolo, come testimonia tutta la storia della salvezza, da Abramo in poi. L’ignoranza (agnoia) è il contrario della conoscenza (gnosis) e della scienza (episteme). I filosofi greci sapevano tutto sul pensiero umano, ma erano nell’ignoranza riguardo al vero Dio. La ricerca umana e filosofica ha fallito il suo obiettivo. L’uomo non ha saputo nemmeno cogliere e decifrare i segni della presenza di Dio: l’ordine dei tempi, i confini degli spazi, le stagioni, il cibo, la letizia nei cuori. L’uomo ha scambiato la creatura con il Creatore. Per questo ha bisogno della rivelazione di Dio.


Un quarto tema è la vicinanza di Dio all’uomo. Dio non è lontano da ciascuno di noi. L’ottimismo religioso degli ateniesi sfociava in una ricerca simile a quella che un uomo fa di notte in una stanza buia: come a tentoni. Il Dio della rivelazione invece è vicino, è presente nella storia. L’uomo, creato da Dio, è una sua progenie, come testimonia pure la citazione di Arato di Soli in Cilicia. Anche certi filosofi e poeti greci parlavano della vicinanza di Dio, ma era di tipo panteista; mentre la vicinanza del vero Dio è reale e si manifesta nel concreto.


Un quinto e ultimo tema è l’invito alla conversione. Per Paolo i tempi dell’ignoranza e della ricerca sono finiti: ora è il tempo della conversione per tutti gli uomini. “Ora Dio ordina (parangello)”. È il tema dell’“ora” che determina l’eccezionalità del momento. Qui sta la forza della predicazione di Paolo: la coscienza che gli ha di essere portatore di un fatto nuovo e di tempi nuovi, che cambiano le sorti dell’umanità. Ora Dio è accessibile a tutti, tramite Gesù. La storia pagana si può dividere in due momenti o parti: quella dell’ignoranza, che precede la venuta nel mondo di Gesù, e quella della predicazione del Cristo. Prende forza così l’appello alla conversione. Ora tutti devono ravvedersi: convertirsi dagli idoli al Dio vivente. L’ordine di Dio è di abbandonare gli idoli, che sono la rovina dell’uomo, e di volgersi a suo Figlio Gesù. Per Paolo l’appello alla conversione non è una proposta, né un semplice invito: è l’ordine di Dio rivolto a tutti gli uomini, di fronte al quale l’uomo deve fare la sua scelta, non può restare indifferente. Ancora una volta, Paolo non parla da filosofo (anche se usa il termine theion e non theos), ma da predicatore del Vangelo, da apostolo di Cristo; la sua non è una dimostrazione filosofica di Dio, ma il kerygma della predicazione del vero Dio. Ad Atene, nel cuore della cultura greca e centro del paganesimo, Paolo parla di Gesù Cristo. La sua predicazione si concentra sul giorno del giudizio, nel quale Dio giudicherà il mondo con giustizia per mezzo di Gesù, che egli ha stabilito con la resurrezione. Convertirsi non significa soltanto credere in un Dio che ha creato il mondo, ma significa pure riconoscere in Gesù l’inviato di Dio per la salvezza del mondo, la piena e definitiva rivelazione di Dio. Anche i greci conoscevano il tema del giudizio, ma solo individuale, non di tutti gli uomini. Ma ciò che suscitò ironia e rifiuto in molti ateniesi fu il fatto sconvolgente e inaudito della risurrezione di Gesù Cristo. Molti di loro, dopo avere ascoltato il discorso di Paolo, si fecero beffa e andarono via (“ti sentiremo un'altra volta”), rifiutando così l’ora di Dio e la salvezza. Alcuni però credettero, fra questi Dionisio l’Areopagita.

Paolo Mirabelli

15 settembre 2021

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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