Dall’Antico al Nuovo Testamento: dopo aver percorso i grandi ed edificanti temi della creazione, dei patriarchi, della legge, della storia d’Israele, della promessa, della profezia, della sapienza, la Bibbia ci fa giungere al Vangelo. Approdiamo ora alle meditazioni sul Vangelo e sui vangeli. Il Vangelo di Cristo è la sintesi vitale di ogni altro tema biblico. In esso risuona la perenne validità della “gioiosa notizia”, per tutti coloro che sentono il bisogno di ascoltare e sentire nella propria vita la “buona novella” di Dio al mondo. Già nelle parole dell’angelo ai pastori possiamo godere della gioia che ci viene partecipata: l’annuncio (evangelizzano) di una grande gioia (evangelizo vobis gaudium magnum) per la nascita di Gesù, il Salvatore, che è Cristo Signore, avvenuta oggi, nella città di Davide (Luca 2,10). Il Vangelo di Cristo non è solo una “lieta notizia” da leggere, ma in esso Dio dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nel Vangelo Dio promette e offre salvezza a coloro che credono in Gesù, e Dio fa sempre ciò che promette. Il Vangelo di Cristo sprigiona vitalità e una infinità di possibilità all’uomo di fede, dà slancio e profonde motivazioni ad ogni itinerario di fede. Il Vangelo di Cristo è la piena e definitiva rivelazione di Dio agli uomini: in Gesù, suo Figlio, Dio desidera entrare in comunione con l’uomo, con tutto l’uomo, con ogni uomo.
La parola “evangelo” è densa di significati. Non si può ridurre il vangelo a una idea, a un trattato di morale, a un semplice tema di predicazione. Esso è innanzitutto Qualcuno: il Vangelo è Gesù Cristo (Marco 1,1), è la Parola fatta carne (Giovanni 1,14). Senza Gesù, la parola “vangelo” è vuota; è solo un nuovo genere letterario, privo di contenuto e di significato: non esisteva nell’antichità il genere letterario “vangelo”. Leggere il Vangelo non è come leggere i miti greci, le favole di Esopo. Esso è potenza di Dio, dice Paolo ai Romani. Quando l’apostolo parla del suo grande impegno e compito di evangelizzare, in 1 Corinzi 1,17-25, ci fa sapere che l’oggetto del verbo “evangelizzare” è la “parola della croce” (o logos tou staurou). Ai greci che cercano sapienza e ai giudei che chiedono miracoli, Paolo predica Cristo crocifisso.
Croce e lieta notizia sembrano due realtà del tutto opposte e inconciliabili (una trasgressione del linguaggio, un non senso), che l’uomo rifiuta di accettare. Tutti siamo consapevoli che la morte di qualcuno non è mai una buona notizia. Come può allora la morte di Gesù essere buona notizia? Come può la croce di Cristo essere la gioiosa notizia da annunciare al mondo?
Quando Paolo diceva di predicare la croce di Cristo non intendeva dire che la storia di Gesù finisse con la croce, con la morte. Se in vangeli concludessero i loro racconti con la morte in croce, sarebbe difficile non solo convincere gli altri ma persino noi stessi che si tratti di una “lieta notizia”. Senza la risurrezione di Gesù, persino noi credenti saremmo tristi, confusi e senza speranza, come i due discepoli di Emmaus. Sia i quattro vangeli sia Paolo (nel kerygma di 1 Corinzi 15) parlano della risurrezione dopo la morte. La buona notizia non è soltanto il fatto che Gesù morì per noi in croce, per salvarci dai peccati, per riscattarci dalla morte e da una vita di non senso, ma che egli morì e risuscitò il terzo giorno, e noi resusciteremo con lui. Una delle frasi più usate dai primi cristiani nei loro incontri e nelle loro forme di saluto era: “Il Signore è risorto!”. Le catacombe sono piene di simboli che illustrano come la vita trionfi sulla morte. Il Cristo crocifisso che Paolo predica è sì morto, ma è risorto. Alla croce è vero che c’è l’abbandono di Dio, ma nella morte c’è la potenza della risurrezione. L’apostolo ribatte a quanti disprezzavano la croce di Cristo: è proprio quella croce che umilia gli uomini superbi, che rende vana la sapienza di questo mondo, che mostra la potenza e sapienza di Dio e la grandezza del suo amore per tutti noi. La croce rivela una eccedenza dell’amore di Dio, che va oltre persino il bisogno di riscatto e il prezzo da pagare.
Paolo, in 1 Corinzi 1,18, usa l’espressione “parola (logos) della croce”. Il vocabolo logos significa parola, discorso (in Giovanni 1 Gesù è chiamato Logos). L’apostolo chiarisce che il riferimento non è soltanto al fatto storico, ma si tratta di un discorso sulla croce: una spiegazione che aiuti a comprendere la croce in tutta la sua portata, che ne colga le ragioni nascoste, che spieghi le verità racchiuse in quell’avvenimento. E la risurrezione è, per così dire, l’altra faccia della croce. Essa non è il rimedio a una sconfitta, ma è un segno o parola di Dio: è il sì di Dio all’ubbidienza del Figlio, il sì di Dio al no di quanti negavano la vera identità del Figlio e il valore della croce di Cristo.