Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Pregare è oggi tornato di modo tra i cristiani, a causa del coronavirus, ma è innegabile che prima di questa pandemia ci sia stato un rilassamento anche della preghiera nelle chiese. Sembra che nelle situazioni difficili torni forte il bisogno della preghiera. Tutti stiamo pregando Dio che ci protegga da questo virus mortale, che soffoca le persone; preghiamo che possa finire presto questo “tempo sospeso” per tornare a quella normalità perduta, “che tanto cara ci fu”. Sembra che, per certi versi, il virus richiami lo spirito. Quando diciamo “virus” (che in latino significa veleno), parliamo di un qualcosa di invisibile all’occhio umano; è soltanto in laboratorio che si può vedere e fotografare. Noi non lo vediamo ma c’è, come lo spirito che non vediamo ma c’è. Il virus è materiale, lo spirito immateriale, ma non meno reale. Gli esperti ci dicono che il Covid-19 è un virus particolarmente cattivo (“velenoso”), e il numero dei contagiati e delle vittime purtroppo lo conferma.


La pagina del vangelo di Marco (9,14-29) parla di un ragazzo posseduto da uno spirito immondo, che di continuo subisce gli assalti della morte. Mentre Gesù è sul monte a pregare, il padre del ragazzo conduce suo figlio dai discepoli di Gesù in cerca di guarigione e liberazione, ma i discepoli sperimentano un grande insuccesso, tanto che sono accusati dai farisei di essere degli imbroglioni. L’arrivo di Gesù sulla scena, a valle, sorprende tutti: i discepoli imbarazzati per il loro fallimento, i farisei scoperti mentre criticano (è l’unica cosa che sanno fare), la folla spettatrice impassibile di ciò che sembra uno spettacolo, il padre del ragazzo disorientato e disperato per una situazione che vede ormai irrimediabile. Dopo il dialogo con il padre, Gesù sgrida lo spirito, solleva il ragazzo in piedi e lo restituisce a suo padre completamente guarito. In privato, a casa, i discepoli chiedono a Gesù il perché o la ragione del loro insuccesso: “Perché non abbiamo potuto cacciarlo noi?” (9,28). E Gesù risponde: “Questa specie di spiriti non si può fare uscire in altro modo che con la preghiera” (9,29). Quale preghiera? Quella del padre del ragazzo o dei discepoli? Le domande, come al solito, servono a riflettere, a porre l’attenzione sul testo biblico che si sta leggendo; a volte la lettura è più veloce del testo stesso e non ci si sofferma abbastanza, e questo non permette di cogliere la profondità e la ricchezza che c’è nel racconto.


Riflettere sulla relazione che c’è tra la preghiera e la guarigione non è affatto un aspetto marginale. A un certo punto sembra che il racconto del miracolo del ragazzo si sospenda per parlare di un altro tema così importante: la fede del padre. Costui, dopo aver esposto il caso di suo figlio a Gesù, dice: “Se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci!” (9,22). Dice “se puoi” a Gesù. Egli non può certo definirsi un “uomo di fede”: crede ma non crede; è attraversato da momenti di incredulità ma sente il bisogno di credere. La risposta di Gesù: “Dici: Se puoi? Ogni cosa è possibile a chi crede” (9,23). Il credere in questa frase è senza complemento oggetto, dunque è inteso in senso assoluto e rimanda al credere in Dio. Solo così la potenza può essere affidata alla fede di chi crede. L’uomo può fare molte cose nella vita, ma non può fare tutto, e l’esperienza prima o poi fa scoprire quanto si è impotenti. È soltanto la fede in Dio che fa del discepolo l’uomo delle possibilità. Il padre del ragazzo accoglie le parole di Gesù e fa una bella ma strana e insolita confessione di fede: “Io credo, vieni in aiuto alla mia incredulità” (9,24). Egli forse capisce che se la guarigione del figlio dovesse dipendere dalla sua fede, allora sa che non la otterrà. A questo punto il dubbio riguarda se stesso, non la potenza di Dio, alla quale Gesù lo rimanda. La sua confessione di fede “paradossale” è una esperienza comune a tanti. Rendersi conto di non avere una grande fede non è segno di debolezza, se poi ci si rivolge a Dio, dicendogli “aiuta la mia fede”. Quando siamo deboli, dice l’apostolo Paolo, allora siamo forti, perché tutta la nostra speranza viene riposta nel Signore.


Quale preghiera è mancata? La preghiera del padre, ma anche la preghiera dei discepoli: né il padre né i discepoli pregano per la liberazione del ragazzo. Va ricordato che i discepoli hanno ricevuto da Gesù il mandato e il potere di cacciare gli spiriti (6,7-13). In questo caso non ci riescono perché si tratta di una “specie di spiriti” resistenti. Per Gesù non c’è spirito che possa resistere alla sua parola; egli può operare anche in assenza di fede e di preghiera della persona. Ma dov’è la preghiera che poi permette l’uscita dello spirito? Dov’è la preghiera che chiede la fine della pandemia? È in queste parole del padre del ragazzo e nostre: “Signore, abbi pietà di noi e aiutaci”.

Paolo Mirabelli

20 novembre 2020

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.