Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Oggi si pensa secondo le categorie dell’esperienza e della causalità (causa-effetto). La morte, come la nascita, è considerata un fatto naturale: la si può dilazionare con il progresso della medicina, ma rimane sempre qualcosa di inevitabile. Il rapporto con la morte appare contraddittorio: da un lato è considerata un tabù, dall’altro c’è l’esibizione della morte. Perché il Covid-19 spaventa così tanto? Perché non c’è una medicina, almeno per ora non c’è ancora un vaccino pronto, e la morte è più presente. Un tempo è la famiglia il luogo dell’accoglienza del nascituro, accompagnato in tutta la sua vita, fino alla morte: è nelle case, in seno alla famiglia che il più delle volte avviene la morte del nonno e della nonna, avvolti dal calore dei propri cari. Oggi non solo la malattia, ma anche la morte si è ospedalizzata: a occuparsene sono il personale medico e paramedico e le agenzie funebri, che promettono prezzi convenienti per tutti. Qualcuno dice che persino in tempi di forte crisi economica come quelli che stiamo vivendo, a causa del fallimento di un capitalismo fondato sul profitto e aggravata dalla pandemia, gli “specialisti” della morte fanno affari.


L’antichità non è messa meglio della modernità. Nel mondo greco, la visione della morte è a dir poco sconcertante e paradossale. Da una parte c’è il pensiero dominante della filosofia greca, con una visione che vede la morte amica dell’uomo, dall’altra una visione molto pessimistica per l’incertezza sull’aldilà. Achille preferisce essere mendicante nell’al di qua che essere il re delle ombre. Socrate invece ha una visione idealistica della morte. Per lui la morte è un “sonno senza sogni”; egli celebra la propria morte come una festa e ordina che si faccia un sacrifico al dio Apollo, poiché considera la morte una liberazione e un entrare nella vita autentica. Come si sa, per Platone esistono due mondi: quello eterno e immutabile (il mondo delle idee) e quello visibile (cioè il nostro mondo in cui viviamo, qui e ora) che deriva dal primo. Questo mondo visibile è soltanto l’ombra e il rimando di quello invisibile. Questo pensiero crea nell’uomo un movimento di ritorno nostalgico, un processo che si completa quando l’anima si libera dalla sua prigione che è il corpo. Non stupisce allora che una tale visione della vita e della morte porti al suicidio e al fallimento della persona. Un teologo luterano, Friedrich Schleiermacher, morto nel 1834, ci ricorda che la nascita e la morte sono spiragli attraverso i quali l’uomo intravede l’infinito. La nascita e la morte sono i due momenti in cui ogni uomo dovrebbe fermarsi e riflettere sull’inizio e la fine della vita.


Quando manca nella visione del mondo e della vita la speranza della risurrezione dei morti, l’uomo è prigioniero della paura della morte (Ebrei 2,15); e i cimiteri tornano ad essere chiamati con il loro vecchio nome: non più “cimitero”, dal greco koimeterion, che significa “luogo di riposo”, bensì “necropoli”, che significa “città dei morti”. La risurrezione è un argomento che non a tutti interessa, perché appare come qualcosa di non logico, di impossibile: un morto che risuscita, ma quando mai si è visto? Persino l’apostolo Paolo fa questa esperienza: quando gli ateniesi sentono menzionare la risurrezione, si fanno beffa di lui e dicono “su questo ti sentiremo un’altra volta” (Atti 17,32), come dire: “Prima vai a smaltire la sbronza e poi torna a parlare di cose serie”. Anche se prefigurata negli eventi della natura, come nel risveglio della primavera o nella semina, la risurrezione non appare come un fatto credibile, perché “l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché gli sono pazzia; e non le può conoscere, perché le si giudica spiritualmente” (1 Corinzi 2,14).


La Bibbia parla della risurrezione dei morti con la stessa naturalezza di come parla della vita, del mondo, del creato. Nell’Antico Testamento se ne parla come una rivelazione progressiva, ma è attestata in molti testi biblici, che, oltre ad essere belli come poesia, sono parole di incoraggiamento per il credente: Io so che il mio Redentore vive; il Signore non lascerà l’anima mia nello Sheol; egli mi mostrerà il sentiero della vita. È nel Nuovo Testamento che la risurrezione diviene evidente, perché è presente colui che è “la risurrezione e la vita”. Sono così tanti i brani sulla risurrezione che è impossibile farne qui un elenco. Uno solo per la nostra gioia. Alle donne che vanno al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù, gli angeli dicono: “Egli è risuscitato” (Luca 24,6). Dopo Emmaus e le prime apparizioni, i discepoli riuniti assieme dicono: “Il Signore è veramente risorto” (Luca 24,34). Dall’annuncio alla testimonianza, con l’aggiunta dell’avverbio “veramente” (il greco ha il participio ontos). Questo è il messaggio sconvolgente et meraviglioso dei vangeli.

Paolo Mirabelli

15 ottobre 2020

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.