Che ci sia una relazione tra peccato e malattia è del tutto evidente per chi crede nella Bibbia. La malattia non è solo una questione medica o clinica, ma ha anche una dimensione teologica. Non sono pochi, ad esempio, i Salmi nei quali l’orante considera la sua malattia un castigo correttivo che proviene dal Signore. Numerosi testi biblici stabiliscono un rapporto diretto tra peccato e malattia, vista come effetto dell’ira di Dio. Già dal racconto dei primi capitoli della Genesi apprendiamo che i problemi dell’uomo iniziano dopo il peccato: prima non c’è la sofferenza, il dolore, la malattia, la solitudine, l’afflizione, la paura, la morte. È evidente che il peccato è all’origine di ogni male.
Le cose fin qui dette però pongono una questione teologica rilevante e fanno sorgere una domanda alla quale dobbiamo cercare risposta nella Bibbia. Non sono mancati e non mancano tuttora coloro che dicono che ogni malattia è la conseguenza diretta di un peccato: “La causa delle malattie di ciascuno sono i suoi peccati”. La “teoria della retribuzione”, per la quale ogni malattia e ogni dolore presuppongono alla radice un peccato, altera il testo biblico e trae delle conclusioni sbagliate. Ecco in breve alcuni motivi che vi si oppongono.
Primo. Questa teologia della retribuzione fa del caso singolo una legge universale e non tiene conto della dialettica tra i testi, né dell’intero insegnamento della Bibbia. Chi finisce in ospedale perché guida come un folle è un conto, chi finisce in ospedale perché investito da un pazzo è cosa ben diversa. La Bibbia riporta sia casi di persone che soffrono per i propri peccati sia casi di persone che soffrano da giusti: Giobbe, il Servo sofferente. Di fronte al cieco nato, i discepoli chiedono: “Chi ha peccato perché sia nato cieco, lui o i suoi genitori?”. Gesù risponde: “Né lui né i suoi genitori”. Secondo. Questa teoria presenta una visione distorta di Dio: al Dio che è amore sostituisce un dio vendicativo, pronto a lanciare dai cieli le sue saette contro gli uomini. Terzo. Questa teologia confonde la disciplina di Dio, che corregge i figli che ama, con le conseguenze del peccato. Non c’è bisogno di “scomodare” Dio ogni volta che le cose vanno male, e dire: “Ecco, è arrivato il fulmine dal cielo”. La Bibbia insegna che il peccato è devastante nella vita dell’uomo, che il peccato è un attentato alla vita e perciò comporta delle conseguenze spirituali, materiali e fisiche. Quarto. Questa teoria confonde il mezzo con il fine: la tristezza o il dolore non è il fine che Dio si propone con la correzione, ma egli si serve della disciplina per ristabilire nell’integrità. Quinto. Questa teoria fa della malattia un “male” necessario per espiare e correggere il peccato, ma l’unica necessità di cui la Bibbia parla per il perdono dei peccati è la croce di Cristo.
Il proposito di Dio per l’uomo non è la malattia, il dolore, la sofferenza: Dio ha mandato suo Figlio per salvare il mondo tramite lui. Il Signore vuole l’uomo perdonato, sano e integro. Non c’è peccato che Dio non voglia perdonare (eccetto il peccato contro lo Spirito Santo), e non c’è malattia che egli non possa guarire: le guarigioni di Gesù nei vangeli mostrano l’amore di Dio verso l’uomo e sono il segno del regno di Dio che si oppone a un mondo che muore, perché dannato dal peccato, da satana, dalla paura, dalla morte.
La malattia non ci dice che tipo di persona è il malato, se non si conosce; non ci dice se la persona malata è un peccatore o un figlio di Dio. La malattia non è la radiografia spirituale della persona. Tra gli infettati dal Covid-19 ci sono dei peccatori ma anche dei cristiani: la protezione civile ci dà ogni sera il numero dei contagiati, dei decessi, dei guariti, ma non ci dice se frequentano le chiese. Il coronavirus non fa distinzione nell’infettare le persone: in questo è molto democratico; è come il sole che si leva sui giusti e sugli ingiusti. La malattia semmai ci ricorda che all’origine di tanto male nel mondo c’è il peccato. La malattia è anche una specie di messaggera della morte, è il sintomo di un male più grande, anche se ancora nascosto agli occhi: ogni volta che uno soffre o è malato, siamo chiamati a confrontarci con la morte, con la fragilità e la provvisorietà della vita umana. La malattia, infine, ci dice il bisogno che noi abbiamo di Dio e della sua grazia in Gesù Cristo. Siamo troppo piccoli, deboli e fragili per fare da soli in questo mondo così complesso e pieno di pericoli. La nostra esistenza è minacciata di continuo e noi siamo tutti i giorni esposti alla morte. Da soli non possiamo farcela a combattere le malattie, la sofferenza, il dolore, la morte. Abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio: “Signore, abbi pietà di noi e aiutaci!”.