Nel 721 avanti Cristo gli assiri invasero la Samaria e deportarono la popolazione, colmandone il vuoto con dei coloni: i samaritani rimasti si mescolarono con costoro e persero in tal modo la loro identità e purezza religiosa. Nel 538, i Giudei tornati in patria dopo l’editto di Ciro, ristabilirono la loro purezza nazionale e rifiutarono di accogliere i Samaritani come fratelli per avere sposato donne pagane e accolto l’idolatria. Questi a loro volta, che al contrario si ritenevano adoratori del Dio dei padri, costruirono un tempio sul monte Garizim (nel 420 avanti Cristo, o nel 332) e, dichiarando legittimo solo il loro sacerdozio, si racchiusero in uno spirito settario. Da quel momento il termine “samaritano” assunse per i giudei il valore di “eretico”, “impuro”, per cui ebbe inizio un perenne odio tra i due popoli. Diamo alcune linee guida e informazioni generali sui samaritani.
I due periodi storici. Secondo la tradizione samaritana la loro storia si divide in due grandi periodi. La prima: l’era del favore, che va dall’esodo al sacerdote Eli, il penultimo giudice. Giosuè, dopo avere conquistato il paese di Canaan, tramite Fineas, nipote di Aronne, costruì nel 2794 dalla creazione il tempio di Garizim. La seconda: l’era dello sfavore, che ebbe inizio con Eli e durerà fino al giorno del giudizio. Eli, che non era un sacerdote legittimo, eresse a Silo un santuario rivale a quello del Garizim. Da allora una parte del popolo restò fedele al legittimo sommo sacerdote Uzzi, mentre un’altra seguì Eli, e una terza cadde nell’idolatria. Di qui la collera del Signore contro Israele: una caverna inghiottì il tabernacolo e gli arredi del Garizim dove sono custoditi fino al giorno del secondo regno. Al tempo di Nabucodonosor trecentomila uomini rimpatriarono e ricostruirono il tempio.
Il credo samaritano. I samaritani dicono di essere rigorosamente monoteisti, “la mia fede è in te, Javè”, e riconoscono in Mosè l’unico profeta di Dio, “e in Mosè, figlio di Nuran, tuo servo”, e la legge di Dio, “e nella santa legge”. Perciò i samaritani si definiscono i “custodi” della legge. La dimora scelta da Dio è il Garizim, non Gerusalemme. Il trattato extra-talmudico Masseket Kutim, o trattato sui Cuti, ossia i Samaritani, si chiede: “Quando li accetteremo?”, e vi risponde: “Quando i Cutim rinunceranno al Garizim e confesseranno Gerusalemme”. Anche i samaritani attendono “il giorno della vendetta e della ricompensa”, ossia il grande giorno del giudizio. Tutti gli uomini si presenteranno allora dinanzi a Dio che peserà sulla bilancia i loro meriti e demeriti, mentre gli angeli agiranno da difensori o da accusatori. I giusti andranno nel giardino dell’Eden e i malvagi nel fuoco eterno. Prima del IV secolo dopo Cristo, essi, al pari dei Sadducei, non accettavano la resurrezione, entrata nella dottrina giudaica, dopo il loro distacco dai giudei; il primo a parlarne fu il teologo samaritano Markha (IV secolo dopo Cristo).
La letteratura. L’unico libro per loro sacro è il Pentateuco (o Torah) cosiddetto samaritano, che è identico al testo masoretico. La scrittura antica è conservata come era originariamente (non quadrata) pur presentando circa 6000 varianti quasi sempre grafiche. Possiedono pure una versione aramaica del Pentateuco, o Targum; una copia di questi due fu portata in Europa dal viaggiatore romano Pietro Della Valle, che li aveva acquistati a Damasco nel 1616. I samaritani possiedono però anche altri sette libri di Cronache, e il Memar Markha (il Marqah; abbiamo voluto mantenere la grafia dei vocaboli usata da salvoni) o “insegnamento di Markha (Maqah)”, detto pure “libro delle meraviglie”, composto in aramaico-samaritano (derivato dall’aramaico palestinese). Il Defter (greco difthera, una specie di codice in pelle) è il libro che contiene tutte le norme liturgiche, le cui parti più antiche risalgono al III o IV secolo dopo Cristo. Lo Hillukh (codice di Halakha), “il cammino” (lungo le vie della legge), è una collezione di leggi, correlate da interpretazioni scritte tra il XV e XVI secolo. I Samaritani conservano con orgoglio il Rotolo di Alisha, conservato nella modesta sinagoga ricostruita a Nablus dopo il terremoto del 1927. Assicurano che è una copia del Pentateuco, fatta da Alisha, nipote di Eleazaro, nel XIII anno dell’insediamento degli Ebrei nel paese di Canaan. Di fatto appartiene a quanto pare al secolo IX o XII dopo Cristo con aggiunte del XVI secolo. Altri scritti sono meno importanti.
La liturgia. Conservano come unico sacrificio quello di Pasqua, che cade il 14 giorno del mese di Nisan (marzo-aprile) (Levitico 23,5) e che ricorda l’esodo degli Ebrei (Esodo12,14). Gli altri sacrifici, essendo ricollegati col tabernacolo, non si possono più praticare per la mancanza d’esso. In occasione della Pasqua, i samaritani, che ora sono in numero di 500 (la cifra è riferita al tempo in cui Salvoni scrive l’articolo), si trasferiscono sul Garizim. Si scelgono gli agnelli, uno per una o due famiglie, più alcuni di scorta per supplire quegli animali che risultassero ritualmente difettosi. Uomini, ragazzi e bambini vestiti con camici bianchi, alcuni con “il fez rosso”, si riuniscono per la cerimonia, e attendono l’arrivo del sommo sacerdote, accompagnato dai sacerdoti e dagli anziani. Allora tutti si rivolgono in preghiera verso la cima del monte. Il sommo sacerdote sale su un masso e recita alcuni versetti della legge. Dei giovani specializzati, detti shohatim, afferrano gli agnelli e con un colpo deciso tagliano loro la giugulare. Le bestie muoiono così per dissanguamento (Genesi 9,4) e gli astanti si bagnano la fronte con il loro sangue che cola in una fossa appositamente scavata. Dopo il sacrificio tutti si abbracciano; poi prendono dei pezzi di pane azzimo ancora caldo con erbe amare e le offrono a Dio (anche le donne vi prendono parte). In seguito si scuoiano gli agnelli con acqua calda, e si verificano se sono senza difetti (come prescrive la legge); ne tolgono le interiora che vengono bruciate (salvo il cuore e il fegato), poi gli agnelli sono impalati e fatti cuocere in pozzetti di pietre arroventate per quattro ore. Nell’attesa il popolo grida: “Non v’è che un solo Dio” (Deuteronomio 6,4). La cena pasquale viene in fine consumata in piedi (Esodo12,11) e i resti arsi con il fuoco (Esodo12,10). La cerimonia che inizia all’imbrunire (tra le due sere del giorno, forse verso il tramonto) termina verso mezzanotte.
Il tempio samaritano. Il tempio stava eretto sul Garizim, anche se non si conosce bene il punto preciso in cui si trovava. Nel 1948 si sono scoperti a Sabbit, villaggio a nord-ovest di Latrun (è un centro urbano collinare di grande importanza strategica, dal momento che si erge sulla Valle di Ayalon e che domina la strada che conduce a Gerusalemme), le rovine di una delle loro sinagoghe, che fu studiata da E.L.Sukenik (Eleazar Lipa Sukenik, nato il 12 agosto 1889 e morto il 28 febbraio 1953, archeologo e professore di ebraico). Apparvero così due pavimenti musivi: il più antico (sotto il precedente di 15/18 centimetri) aveva un medaglione con due candelabri a sette braccia; vi era pure l’iscrizione: “Il signore è re per sempre e in eterno” (Esodo15,18, con scrittura samaritana).
Il rapporto tra giudei e samaritani. I giudei odiavano i samaritani a causa delle loro origini bastarde e delle loro divergenze religiose. “Contro due popoli sono irritato e il terzo non è neppure un popolo: quanti abitano sul monte Seir e i Filistei e lo stolto popolo che abita in Sichem” (Siracide 50,27s o 25-26). Gli abitanti del monte Seir sono gli Idumei, e non i samaritani, come ha erroneamente la versione greca, perché in tal caso sarebbero un doppione con “gli abitanti di Sichem”, ossia i samaritani. Anche Giovanni, l’evangelista, parlando della samaritana, afferma che “i giudei non mantengono buone relazioni con i samaritani” (4,9). Gesù la rompe (espressione un po’ arcaica e desueta) con tali querele come appare dell’esempio del buon samaritano (Luca 10,25-37) e dall’elogio dato al samaritano che, guarito dalla lebbra, tornò sui suoi passi per ringraziare Gesù, a differenza dei nove lebbrosi giudei, pur essi guariti, ma dimentichi del proprio dovere: “Era un samaritano; non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” (Luca17,16.18). Gesù manda in un paese samaritano alcuni inviati perché gli preparassero il suo soggiorno, ma quando non viene ricevuto, perché diretto a Gerusalemme (e non al Garizim), rimprovera Giacomo e Giovanni che avrebbero voluto castigare quei samaritani con fuoco sceso dal cielo (Luca 9,52-55). Luca vede in questo invio, “per preparare la sua venuta”, un preludio della missione di Filippo in Samaria (Atti 8,4-25), come Giovanni lo vede nel colloquio di Gesù con la samaritana (Giovanni 4). Imbevuti di spirito nazionalista e razziale, forse anche gli apostoli sono all’inizio titubanti nel vedere che dei convertiti si avevano pure tra i samaritani, per cui vi mandano Pietro e Giovanni, per vedere come stavano realmente le cose. Quando impongono le mani su quei credenti, in segno di comunione con i cristiani di Gerusalemme, scende lo Spirito Santo su quei neofiti, quasi per insegnare che anch’essi sono degni del Vangelo (Atti 8,15-17). In tal modo diveniva a tutti evidente “che non v’è preferenza di persone dinanzi al Signore che sta nel cielo”. Lo capì Pietro che (in casa di Cornelio, il centurione romano) così disse: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti10,34-35).
Nota degli editori. Questo excursus sui samaritani, che segue la parabola del buon samaritano (in fase ancora di correzione e revisione) è tratto dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le note tra parentesi, la trascrizione dei vocaboli ebraici e greci e alcune piccole parti sono di Paolo Mirabelli, che ne ha curato la revisione e strutturato il testo. Alla trascrizione del manoscritto hanno collaborato Cesare Bruno e Roberto Borghini.