“Il cantico di Anna”, cosi siamo soliti intitolare questo brano (alcuni parlano di salmo di lode), in realtà il testo biblico dice che “Anna pregò”. Anna e suo marito sono a Silo, nella casa del Signore, prostrati davanti al Signore, e in questo contesto di adorazione e ringraziamento che Anna prega il suo cantico. È una preghiera che si fa lode. È il canto per la nascita del figlio da una donna sterile. La nascita di Samuele non è il prodotto di una manipolazione genetica o di oscuri disegni delle divinità pagane: è il dono di Dio; è la risposta a una preghiera, l’adempimento a una promessa; è la fedeltà di Dio che non viene mai meno, nonostante l’infedeltà degli uomini. Ma in questo canto c’è qualcosa di più di un evento personale e di una vicenda familiare: c’è il canto del popolo d’Israele per la nuova possibilità offerta da Dio dopo aver sperimentato il fallimento. Il canto di Anna trova eco nel Magnificat di Maria, madre di Gesù, al quale il cantico rimanda nel suo annuncio profetico, e dal quale Maria stessa trae ispirazione. Anna canta non solo la gioia per la nascita di suo figlio, dopo la sterilità vinta, ma le sue parole hanno una valenza e una dimensione che va oltre l’ambito familiare, oltre il contesto nel quale sono pronunciate, poiché parla di nemici, di guerre e alla fine di un re. È come se il cantico cantasse pure la nascita della monarchia d’Israele, iniziata con Saul e proseguita con Davide. Anna canta, Israele canta, ma anche la chiesa canta perché “un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle”. La dossologia contenuta nel canto-preghiera di Anna esalta la potenza e il dominio di Dio. La lode è la risposta umana al dono di Dio, è l’unico discorso appropriato quando si parla di grazia. E noi tutti ci uniamo al coro dei fedeli che, con le parole del Salmo 113, lodano il nome del Signore perché rialza il misero dalla polvere e il povero dal letame, per farlo sedere con i principi; lodano il Signore perché fa abitare la sterile in famiglia, quale madre felice di figli.
2,1-2. Il cantico inizia con l’affermazione della potenza di Anna e si conclude con l’affermazione della potenza dell’unto (masaiah, messia). Letteralmente il testo ebraico parla di “corno innalzato”. Il qeren o corno è simbolo di forza e di coraggio. Una donna prima sterile, ora è innalzata in forza e dignità; un popolo prima oppresso dai nemici, ora è temuto per la sua forza. Il cuore di Anna esulta non per meriti che lei non ha, bensì per la potenza del Signore che opera. La sua bocca è contro i nemici e gioisce per la salvezza di Dio. La nemica di Anna è Peninna, i nemici d’Israele in questo momento storico sono i filistei. Il versetto 2 afferma per ben tre volte che nessuno è come Dio.
2,3-5. Poiché Dio sa tutto e pesa le azioni dell’uomo, il Signore interviene in favore dei deboli e ha il potere di trasformare le situazioni. La volontà di Dio di intervenire e il suo potere di trasformare le situazioni della vita sono messi in evidenza tramite esempi concreti: l’arco dei potenti è spezzato, ma quelli che vacillano sono rivestiti di forza; i sazi si offrono a giornate per il pane, mentre gli affamati hanno riposo. Dio è a favore di qualcuno, ma Dio è anche contro qualcun altro. È l’agire di Dio che dà speranza ai deboli e agli emarginati: egli muta le sconfitte in vittorie, vince la sterilità e offre nuove potenzialità. Quando c’è Dio di mezzo: l’arco dei potenti non vince e i satolli sono in cerca di pane, mentre i deboli diventano forti e gli affamati si saziano in abbondanza; la donna che ha molti figli diventa fiacca, mentre la sterile partorisce sette volte (Anna ha altri cinque figli, 2,21).
2,6-8. Dopo aver parlato di guerra, cibo e figli, il cantico parla di situazioni ancora più estreme in cui si trova l’uomo, ma Dio ha il potere e la volontà di liberare da tutto e tutti, agendo in favore di qualcuno e contro qualcun altro. Tre situazioni. La prima: il Signore fa vivere e morire, scendere e salire dal soggiorno dei morti. Solo Dio può far rivivere i morti. Questo paradigma, già espresso nel cantico di Mosè in Deuteronomio 32,39, è un’attestazione della risurrezione. La seconda: Dio fa impoverire o arricchire, abbassa e innalza. Parole che evocano la predicazione del Battista. La terza: non solo c’è capovolgimento tra ricchi e poveri, ma c’è innalzamento del misero e del povero, per farli eredi di un trono di gloria. Davide diventa re d’Israele quando è un pastore di pecore. La speranza che tutto possa cambiare risiede in Dio, che ha creato il mondo e lo ha reso stabile.
2,9-10. La conclusione del cantico richiama diversi temi biblici: Dio è giudice di tutti, perciò egli distingue i fedeli dagli empi; il potere di Dio è espresso nella forza dell’unto. L’unto di cui si parla è Davide, ma non solo: il cantico va al di là di Anna e di Davide, e guarda al Messia Gesù.