Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Molti di più di quanto io possa credere o pensare. La domanda viene posta a Gesù in questi termini: “Signore, sono pochi i salvati?” (Luca 12,22).  Il brano dal quale la domanda è tratta è situato nel contesto del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme, quasi a voler dire che senza la croce non si può nemmeno parlare di salvati. Gesù viene presentato come maestro itinerante. La domanda non è fuori luogo per il giudaismo di allora. L’opinione dominante delle scuole rabbiniche è espressa in questa frase della Mishinà: “Tutto Israele parteciperà al mondo futuro”. Il mondo farisaico pensa che tutti gli ebrei conseguano la salvezza, ad eccezione di alcune poche categorie di persone che sono particolarmente nel peccato. Altri invece, come i circoli apocalittici, tendono al ribasso: “Molti sono creati, ma pochi salvati”. La domanda suscita ancora molto interesse e discussioni “fraterne”. Alcuni fissano non solo date sulla fine del mondo, ma stabiliscono pure il numero dei salvati. C’è chi dice: “Solo noi ci salviamo, e nessun altro”. Altri invece sono così ecumenici che promettono la salvezza a tutti, addirittura senza fare riferimento a Gesù.


La salvezza è per pochi o per molti? Che cosa risponde Gesù? La domanda viene rivolta a Gesù da “un tale”, forse uno della folla, che rimane anonimo, non sappiamo di chi si tratta. Non importa: a noi interessa la risposta di Gesù. L’uomo si rivolge a Gesù chiamandolo “Signore”, il che mostra una certa fiducia nel Maestro di Nazaret. La domanda è impersonale, ma la risposta è personale: anziché una sterile e generica informazione sui numeri, viene data a ciascuno una opportunità di riflessione e soprattutto di conversione. Gesù non è interessato a fornire dati e statistiche. Egli si rifiuta di fare calcoli matematici (tanti o pochi), e orienta la sua risposta verso un altro versante. È vero che parla di “molti” che vorranno entrare al banchetto del regno senza riuscirci e di altri che verranno allontanati, però, più che delle previsioni sui numeri, sono una sollecitazione, un invito a fare una scelta importante e radicale, coraggiosa e improrogabile. Alla domanda sul numero dei salvati, che segna l’inizio dell’intero brano (Luca 13,22-30), Gesù risponde con un racconto fatto di metafore e immagini, che possiamo riassumere in tre punti: il primo riguarda la porta stretta (13,23-24), il secondo la porta chiusa (13,25-27),  il terzo l’accesso alla mensa nel regno di Dio (13,28-30). Il racconto diventa così un’esortazione rivolta a chiunque ascolta il Vangelo a decidersi per la sequela e a non prendere alla leggera l’impegno al discepolato.


“Sforzatevi”: il vocabolo greco “agonizomai” rimanda al gareggiare, al concetto della lotta, della fatica, ma anche all’agonia. Quando una persona è in agonia in ospedale, ciò significa che sta lottando tra la vita e la morte. Non è una lotta qualsiasi: si tratta di un impegno e di una fatica per la vita. Perciò l’imperativo “sforzatevi” (greco agonizesthe)  dice l’urgenza, la serietà, la necessità dell’impegno. Sciupare le occasioni che ci vengono offerte ha effetti deleteri. Gesù però non dice “sforzatevi di salvarvi”, come se la salvezza dipendesse dagli uomini o fosse l’esito degli sforzi umani. La salvezza è il dono di Dio per coloro che sono in Cristo. L’imperativo ci chiede di sforzarci di entrare per la porta stretta, e questo significa almeno due cose. La prima. Gesù è la porta della nostra salvezza, la porta della vita, la porta dell’ovile delle pecore, come afferma lui stesso nel vangelo di Giovanni: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato” (10,7.9). La salvezza è possibile solo tramite la mediazione di Gesù. La seconda. Sforzatevi (plurale) richiama l’importanza dell’impegno e la necessità della disciplina nell’entrare dentro e non rimanere fuori. Diventare discepolo e entrare nel regno di Dio non significa farsi un Gesù su misura, a propria immagine e somiglianza, bensì conformarsi a lui, diventare noi immagine del Figlio.


L’immagine del padrone che si alza (il greco egeiro è uno dei verbi della risurrezione) a chiudere la porta dice la conclusione delle possibilità. C’è un tempo offerto per la salvezza. La porta stretta che prima è aperta, ora è chiusa, diventa la porta chiusa che segna il confine tra l’interno e l’esterno. Il tempo è scaduto. I disperati tentativi di “molti” di vedere la porta riaperta sono tutti inutili, come nella parabola delle dieci vergini. Persino richiamarsi a una relazione umana con il Signore, come la familiarità condivisa a tavola (luogo di intimità) e sulla piazza (luogo della vita sociale), risulta inutile. Appellarsi alla sola vicinanza fisica diventa una autoaccusa perché fa dire: proprio tu che hai ascoltato il Signore predicare, perché non gli hai creduto per essere salvato?

Paolo Mirabelli

30 agosto 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.