Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Con 52 capitoli Geremia è il libro più esteso dell’Antico Testamento, nonostante Isaia abbia come è noto più capitoli, ovvero ne ha 66. Geremia supera anche il libro dei Salmi. Libro di Geremia e il profeta sono al centro di interesse e di continui studi.


“Tu mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre” (20,7). Altri traducono “persuadere”. Il dramma vocazionale più intenso che la Bibbia registra è quello di Geremia, il giovane di Anatot nel paese di Beniamino, che il Signore invita a salire a Gerusalemme ad annunziare la sua parola al popolo, agli uomini di corte, ai sacerdoti, ai re. Come un mandarlo in fiore, egli deve parlare di Dio in una stagione invernale, in un tempo ancora freddo, e annunciare l’arrivo della primavera ancora assente. Un compito arduo il suo, attraversato da momenti difficili durante il suo ministero, lo provano le “confessioni di Geremia”: 11,18- 12,16.15,10-20; 17,12-18; 18,18-23:20,7-18.


La vocazione è vissuta in continua tensione: a volte è accettata, a volte respinta. Nelle sue frequenti e continue diatribe, anche con Dio, egli si domanda perché il Signore gli ha affidato un incarico che lo fa apparire sempre “uomo di litigi e di contese” (15,10). Abbandonato da tutti, amici compresi, per una parola che non è la sua. In molti (così l’ebraico rabbim) cospirano contro di lui e ne spiano le debolezze per sopraffarlo. È come se la comunità tutta gli si rivoltasse contro. Lo spavento gli viene da ogni lato, davanti e di dietro. Tra coloro che lo spiano ci sono persino gli “amici”, quelli con i quali un tempo era in pace. Spiano il giusto sperando che cada in qualche fallo e poterlo denunciare (hgyd, è lo stesso verbo usato da Geremia per denunciare in più occasioni il popolo; come dire: “Ora tocca a noi denunciarti”) e accusarlo di essere un falso profeta.


Non sarebbe meglio vivere in pace con tutti? Starsene tranquilli e tacere? Che ognuno creda ciò che vuole! Perché preoccuparsi del credere che e del credere in? Meglio non menzionare più Dio e non parlare nel suo nome . Che ognuno faccia la propria scelta! Che ognuno segua la propria via! Ma questo a Geremia non è concesso, perché egli è sentinella come il mandorlo in fiore. Geremia non può contenere la forza vitale che la presenza del Signore immette in lui. Nonostante le fatiche, le delusioni e le amarezze del suo ministero, Geremia si sente sedotto da Dio, come una fanciulla dal suo amante. Anche se la bocca pronuncia parole dissennate, Geremia sente dentro di sé, nel suo cuore e nelle sue ossa, come un fuoco che brucia: si sforza di contenerlo, ma non può. È il fuoco dell’amore per Dio e di Dio verso tutti che lo divora e lo spinge a parlare ancora e sempre di Dio.


La vocazione diventa così per l'uomo di Anatot il fardello di tutta la sua vita: l’accetta e la respinge, la benedice e la condanna. E le diatribe più frequenti e più aspre sono con Dio stesso che gli ha affidato un incarico che lo fa apparire sempre “uomo di litigi e di contese” (15,10). Egli svolge un compito benefico ed è perseguitato, mentre “la vita degli empi prospera” (almeno così sembra) e “i perfidi vivono tranquilli” (12,1). Un quesito che lo tormenta a lungo ma a cui non sa dare risposta.


Geremia moriva senza aver chiarito il mistero della sua chiamata. Lo sconforto tocca momenti di estrema esasperazione (che per certi versi ricordano il lamento di Giobbe): “Me infelice, madre mia perché mi hai generato” (15,10). “Signore, ricordati di me e soccorrimi; nella tua longanimità non farmi perire, sappi che io a causa tua sopporto oltraggi” (15,15). “Non diventare per me oggetto di spavento, tu sei il mio rifugio nel giorno della sventura” (17,17). Un dialogo sempre serrato, aperto, leale, ma qualche volta anche aggressivo. Gli sembra di essere stato ingannato. Il Signore gli aveva fatto ampie promesse: “ti renderò una città fortificata”, “una colonna di ferro”, “una muraglia di bronzo” (1,18). Di fatto tutti “si beffano” di lui (20,7). Sembra che il Signore l’abbia allettato con un miraggio, come si fa con i bambini o come capita ai viandanti del deserto che a ogni riflesso di raggi solari si illudono di aver trovato uno stagno d’acqua. La frase “mi hai sedotto” prima che un significato teologico ne ha uno realistico. Il profeta sente di essere stato aggirato come un’ingenua fanciulla che si è lasciata incantare e alla fine sopraffare dalla loquacità, dal fascino, dalla violenza del suo seduttore. L’amarezza è così grande che giunge alla risoluzione di ritirarsi dal ministero: “Non parlerò più nel suo nome”. Sono attimi di debolezza, di confusione, di smarrimento, ma subito ritorna l’orientazione di fondo.  Anche se la bocca pronuncia parole dissennate, dentro di sé sente bruciare il fuoco dell’amore di Dio che lo divora e lo spinge ancora a parlare.

Paolo Mirabelli

20 febbraio 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.