Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il ricco stolto (Luca 12,16-21). Luca tratta ampiamente il tema della ricchezza e della povertà nei molteplici aspetti. Lo spunto, per dimostrare l’insicurezza dei beni terreni per la nostra vita, viene offerta a Gesù dalla richiesta di un tale che gli chiede di intervenire nella divisione della sua eredità. Non si trattava di una richiesta strana, perché la gente del tempo si rivolgeva con fiducia ai rabbini che costituivano il diritto vivente e per questo li pagavano in proporzione del loro valore (legale) e della conseguente fama. Gesù, che non vuole essere assimilato a uno di quelli, rifiuta di dare il suo parere, perché egli non era venuto per appoggiare gli interessi economici e materiali delle persone, ma per comunicare agli uomini il regno e la volontà di Dio, che con il suo amore ci salva: “Chi mi ha costituito giudice o mediatore?”. Anzi Gesù coglie l’occasione per rivolgere alla folla una serie di insegnamenti sulle ricchezze. La lezione inizia con una parabola assai incisiva.


La parabola. Un uomo, dopo un’annata particolarmente felice, si vede costretto a costruire dei granai più vasti per riporvi l’immenso raccolto. Abbattere dei granai per costruirne dei nuovi più capaci era per gli orientali del tempo qualcosa di inaudito, e un segno di enorme ricchezza. Ma proprio quando quel ricco pensa di essersi assicurato un avvenire felice si sente dire da Dio: “Stolto, questa notte stessa morirai!”. Il colloquio con se stesso “anima mia, riposati, bevi e fai festa” non fa altro che riprodurre plasticamente i pensieri di quella persona, fiduciosa nei propri beni. L’anima era per l’orientale la sede degli appetiti, particolarmente quello della gola, della fame; tale pensiero proveniva dal fatto che la parola ebraica “nefesh” significava la gola per la quale il cibo penetra nello stomaco (Nephesh è il principio vitale, ha il significato di soffio o di respiro; è anche l’organo attraverso il quale passa il respiro dell’uomo, l’interno della gola e l’esterno del collo, perché da essi passa il soffio vitale). Eppure tanta abbondanza di beni non serve a nulla contro la morte, che arriva indipendentemente da quanto uno possiede e non si può allontanare con il denaro.


Il significato. L’uomo ricco non è antipatico né agisce malamente; è solo un uomo economico che riflette e cerca di prepararsi un avvenire sicuro con un’accurata coltivazione agricola. La ricchezza è nel mondo attuale l’unica realtà che conta, perché permette di “godere” di continuo. La sua visuale (del ricco stolto della parabola) è quindi confinata nel suo proprio io, nella sua vita terrena, senza alcuna altra dimensione (senza alcun riferimento a Dio). Egli è mosso da una prospettiva statica, senza speranza e senza avvenire diverso. La parabola vuole insegnarci che un tale modo di esistenza è antidivino e antiumano. Il ricco stolto dimentica la sua posizione di creatura e si lascia guidare solo da se stesso. Il Dio della parabola gli richiama che lo scopo della sua esistenza non sta solo in lui. Gesù non vuole biasimare speciali colpe del ricco, come l’egoismo, l’avarizia o altro; nella sua parabola egli non insinua affatto che quel ricco fosse egoista o avaro. Il senso sta nell’introduzione e nella finale del testo. Nell’introduzione il Maestro dice di parlare contro la cupidigia, o avidità, la brama di possedere molto e sempre di più, come se fosse indispensabile possedere molte ricchezze per una vita felice. Gesù dice che tale brama è una stoltezza, un modo insensato di agire, perché la sicurezza non ci viene da beni, che sono effimeri e caduchi (12,20).


Vita e morte: che cos’è l’uomo? Il tema della vita e della morte è centrale nella letteratura biblica sapienziale. L’uomo è un essere che passa come un alito di vento (Salmo 39,50; 62,10; 82,7); i suoi giorni sono come un fiore (Salmo103,15-16) per cui la sua vita gli verrà richiesta come si domanda ciò che è stato imprestato (Giobbe 27,80). Dio, infatti, ha stabilito per l’uomo un certo periodo di vita (una durata per la vita) (Giobbe14,5), che non può essere dilatato (Salmo 31,16; 39,5). L’uomo è preso dalla morte come con la rete si cattura un uccello (Ecclesiaste 9,12).


Stolto! La stoltezza biblica non è solo mancanza di possibilità intellettuali, ma riguarda l’uomo nella sua totalità. Egli pensa di avere nelle proprie mani la sua felicità (Giobbe 21,16), per cui si ritiene saggio e cammina di propria testa (Proverbi 3,7), seguendo illusioni e sogni. Ma ne segue ben presto la disillusione (Proverbi 9,13), con le conseguenti ire e gelosie (Giobbe 5,2). Proprio quando si ritiene sicuro, cade su di lui la morte (Salmo 34,22). La strada della stoltezza conduce, infatti, alla morte (Proverbi 2,18; 5,5). Solo Dio può saziare l’anima assetata e affamata (Salmo 42,2;63,2-6); solo Dio può darle pace e sicurezza (Salmo 55).


Limitatezza umana. La parabola mostra che la vita e il mondo non sono proprietà dell’uomo, ma dono e responsabilità affidati a lui da Dio. La limitatezza umana appare in modo chiaro dinanzi al problema della morte. La morte impedisce di idealizzare la vita senza Dio, di pianificare ogni cosa, come se tutto dipendesse da noi, e dimenticare che l’esistenza è instabile. La morte è una realtà che non si può dimenticare, davanti alla quale non si possano chiudere gli occhi. Essa ci mostra i limiti umani. Essa ci apre l’orizzonte verso un avvenire che non è di questo mondo.


Ricchi davanti a Dio. Gesù ci raccomanda di acquistare tesori validi di fronte a Dio. “Così è di chi accumula tesori per sé, ma non arricchisce davanti a Dio” (12,21). I beni della terra non ci seguono nell’eternità; vale molto di più cercare il regno di Dio che ci fa arricchire alla presenza del Signore. Il verbo greco qui usato, plouteo, non significa solo “essere ricco”, ma anche “arricchire, divenire ricco”; il che è più adatto al contesto. Nel regno di Dio non si è mai ricchi, ma ci si deve arricchire sempre più. Vi è qui un’opposizione tra i beni temporali “tesaurizzati per sé” e quelli invece che ci fanno essere ricchi davanti a Dio. Il commento a queste parole ci è dato dallo stesso Gesù: “Non accumulate tesori sulla terra, dove il tarlo e la ruggine consumano, dove i ladri scassinando e rubano. Accumulate piuttosto tesori in cielo (presso Dio) dove né il tarlo né la ruggine consumano e dove i ladri non scassinano né rubano.” (Matteo 6,19-20). Occorre avere fiducia in Dio, non nelle ricchezze: “Non temete, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre di darvi il regno. Vendete quel che possedete e datelo in elemosina; fatevi delle borse che non si logorano, un tesoro che non venga mai meno nei cieli, dove non v’è ladro che si avvicini, né tarlo che consumi. Perché dov’è il vostro tesoro, ivi è pure il vostro cuore.” (Luca 12,32-34). Non per nulla tra la parabola e la precedente espressione di Gesù, Luca riporta un brano meraviglioso riferito anche da Matteo nel sermone sul monte, sulla fiducia nella provvidenza di quel Dio che nutre gli uccelli del cielo e riveste di colori stupendi i gigli della campagna. “Cercate piuttosto e di continuo il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in più” (Luca12,31). All’attitudine del ricco, che crede di poter godere con sicurezza la vita solo perché possiede abbondanza di beni, Gesù oppone l’atteggiamento di chi ricerca anzitutto il regno di Dio e per il resto si affida fiduciosamente all’amore provvido di Dio.


Commento degli editori. “Il ricco stolto”, così siamo soliti intitolare questa parabola di Gesù. Ma perché stolto? Qui non c’è nulla che faccia pensare a maltrattamenti agli operai, nulla che indichi furto o disonestà. E non c’è bisogno di caricaturare il personaggio per fare emergere la sua follia. Come distinguere la stoltezza dall’ingegno, visto che qui il ricco appare un uomo di successo? Il vangelo ci invita dunque a un discernimento. La parabola si trova in una sezione che in questa forma e successione è contenuta soltanto nel vangelo di Luca, non ha paralleli in Matteo e Marco. L’intera pericope si compone di una domanda per una disputa sull’eredità (12,13), della replica di Gesù e un primo insegnamento (12,14-15), del racconto successivo della parabola (12,16-20) con una conclusione finale (12,21), che vale come insegnamento destinato a tutti, non solo ai discepoli. Le sue parole si muovono da una richiesta circoscritta e si dirigono alla “vista di Dio”. Qualcuno della folla, non sappiamo chi, chiede a Gesù di aiutarlo a redimere una questione ereditaria. L’uomo avanza una richiesta motivata, esige una giustizia che gli è stata negata. Per questi casi esistono norme ben precise nella legge di Mosè. Gesù si rifiuta di esercitare la funzione giudiziaria e non vuole mediare in affari che riguardano il denaro e la proprietà. Tuttavia le sue parole richiamano una verità che getta luce sulla vera questione posta dal suo interlocutore. Una parola, quella di Gesù, contro la cupidigia, l’avarizia (il greco pleonexia designa il desiderio di avere di più) e i pericoli che comporta. Gesù contesta la convinzione che la vita sia garantita dal possedere le cose. Egli invita a ragionare a un livello più profondo.


La parabola è un racconto in quattro scene: il raccolto abbondante, l’idea di ingrandire i magazzini e fabbricarne dei nuovi, il pensiero di darsi alla bella vita, l’irruzione di Dio nella notte dello stolto. Il ricco rivolge a se stesso quattro imperativi: riposati, mangia, bevi, godi/divertiti. C’è un crescendo in tre gradi successivi, fino al godimento totale della vita. Ma vediamo cosa si cela nel suo spazio interiore. “Egli ragionava tra sé”: così lo descrive Gesù, con grande intuito psicologico e finezza spirituale. Ragiona tra sé perché vive davanti a se stesso, chiuso nella sfera della sua autosufficienza e autoreferenzialità. Una chiusura e una cupidigia che lo portano a illudersi di possedere la propria vita e di assicurarsi il futuro. Nel suo soliloquio parla solo con se stesso di se stesso. Non ha nessuno con cui parlare. Avere molti beni e non saperli condividere, rende soli. Vive soltanto per sé, fa progetti per se stesso, si congratula con se stesso. Di giorno si nasconde (la parola giorno non appare nel testo, nemmeno il termine luce) e la notte non dorme, ma pensa a come avere di più e mettere da parte. Ma ecco che nella quarta scena accade qualcosa che il ricco non ha messo in conto e che fa precipitare tutto. “Questa notte ti sarà richiesta la tua vita/anima” (12,20; il greco ha psychè, anima). Ecco il precipizio! Dietro questo passivo, dietro questa espressione impersonale, c’è Dio, colui che dona la vita e la interpella. Questa notte, dice Dio, porterà la morte. Notte e morte è quanto di peggio  possa accadere all’uomo. “Stolto”, dice Dio. La sua cupidigia è una follia e il suo programma di costruire la vita sulle ricchezze si è dimostrato sbagliato e illusorio. Stolto è colui che pensa che “Dio non c’è” o che vive come se Dio non ci fosse. Stolto è colui che vive davanti a se stesso, anziché davanti a Dio. Stolto è colui che confida nel possesso delle proprie mani, che pensa che la vita sia un proprietà come il grano, anziché un dono di Dio. Stolto è chi non sa amare e non sa donare al prossimo, che come lui ha diritto al “pane quotidiano”. Pensava di essere un uomo saggio, invece Dio lo ha definito stolto. Credeva di possedere la vita, invece l’ha persa. Voleva vivere “molti anni”, invece è finito tutto in una notte. Gesù smaschera così l’inconsistenza di questa illusione della vita e avverte contro l’accumulo che pone i beni al posto di Dio. Non solo il contenuto del possesso, ma anche l’atteggiamento di chi le cose le possiede con quella cupidigia dalla quale il vangelo invita a tenersi lontani, ci aiuta a scoprire che il possedere finisce con il mettere al centro se stessi e la pretesa di tenere ben stretta in pugno la vita, come se essa dipendesse dall’uomo, dall’opera delle sue mani. “Così è e non è”, dice Gesù (12,21). Queste parole dicono come sia la qualità di un’esistenza vissuta davanti a Dio, in relazione con il suo volto, e non davanti a se stessi, secondo uno sguardo autoreferenziale e narcisistico che, anziché incontrare il volto di Dio e degli altri, si rispecchia solamente nel proprio ego. Ricco in vista di Dio è chi crede che la vita sia un dono e l’accoglie e la vive con gratitudine, alla sequela di Gesù.


Nota degli editori. Questa parabola de Il ricco stolto (Luca 12,16-21) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le note e alcune parti del testo sono di Paolo Mirabelli, che ha curato la revisione, strutturato la parabola e riformulato certe espressioni. La trascrizione dei testi è di Cesare Bruno e Roberto Borghini.

Fausto Salvoni

27 novembre 2018

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.