Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Dal capitolo 5 della lettera di Paolo ai Romani abbiamo ritagliato i versetti 12-14, considerati di non facile comprensione, anzi, uno dei testi più difficili dell’intera lettera, soprattutto il versetto 12. Con umiltà, che non appartiene a chi pensa di essere un esperto di Sacre Scritture e si considera esegeta di lungo corso, cerchiamo di capire e di cogliere almeno il senso basilare di questo testo. Diamo prima uno sguardo al contesto della lettera e poi al testo in esame.


In Romani 1,16-17 Paolo fa un’affermazione programmatica, che possiamo definire la testi della lettera: “Il giusto per (ek) fede vivrà” (l’Evangelo, potenza di Dio per chi crede, giudeo o pagano, rivela la giustizia di Dio). Quest’affermazione è composta di tre parole (tralasciamo qui l’articolo il e la preposizione per): giusto, fede, vivere. Il resto della lettera ai Romani spiega come questo avviene. In estrema sintesi: nei capitoli 1-4 Paolo spiega come si diventa “giusti per la fede” e nei capitoli 5-8 come il credente “vive” in Gesù Cristo, per lo Spirito Santo.


Paolo rassicura i cristiani della chiesa di Roma che la salvezza che si consegue per mezzo dell’opera del Cristo, annunciata agli uomini dal Vangelo, non può essere messa in discussione, poiché è opera di Dio e trova fondamento in tutta la Scrittura. L’intero Nuovo Testamento concorda nel dire che la giustizia è per fede, non si ottiene mediante le opere della legge. Innanzitutto Paolo ne stabilisce il fatto e poi procede alla dimostrazione. La dimostrazione muove negativamente (né i pagani, né i giudei, pur avendo la legge, sono sulla via giusta, nel giusto rapporto davanti a Dio, poiché tutti sono sotto il peccato; 1,18-3,20) e positivamente (la salvezza si ottiene tramite la fede nell’opera di redenzione compiuta da Gesù Cristo; 3,21-31). Il tema della giustificazione per fede è illustrato biblicamente con il richiamo ad Abramo, alla giustificazione del patriarca attraverso la sua fede ubbidiente in Dio, non per le opere, dichiarato giusto prima di essere circonciso (4,1-25).


Giunti al capitolo 5 Paolo riprende il tema daccapo per approfondimenti e sviluppi. Dal capitolo 5 in poi egli presenta i benefici della salvezza (5,1-11) e dichiara sconfitti per sempre i suoi nemici tradizionali: il peccato, la morte, la legge (5,12-7,25). Nell’esporre la triplice liberazione (dalla morte, dal peccato, dalla legge), conseguenza della giustificazione ottenuta tramite Gesù Cristo, Paolo parla del rapporto che c’è tra il peccato e la morte, tra il sacrificio di Cristo e la vita che ha prodotto. La vittoria della vita in Cristo viene spiegata in 5,12-21, da cui abbiamo estratto i nostri versetti (5,12-14). La spiegazione avviene attraverso il confronto tra Adamo e Gesù, e tra uno e molti /tutti. Il versetto 17, che riporta uno dei punti snodali del ragionamento di Paolo, afferma con forza la sovrabbondanza della grazia di Dio rispetto al dominio della morte. Il versetto 18, che espone gli effetti dell’opera compiuta dal Cristo, estesi a tutti gli uomini che credono e ubbidiscono al Vangelo, è una conclusione  del ragionamento di Paolo portato avanti in 5,1-11.


Ed eccoci ora giunti al nostro testo. I versetti 12-14 presentano la situazione di fatto in cui si trova l’uomo a causa della trasgressione di Adamo: il peccato è entrato nel mondo, e attraverso il peccato la morte, perché tutti hanno peccato. Pur non essendo imputabile quando non vi è legge, tuttavia il peccato era nel mondo, e con esso la morte, che ha dominato su tutti gli uomini, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo. Proviamo a illustrare questo concetto con un esempio. Un uomo è malato di cancro ma non lo sa. Decide di recarsi dal medico, il quale gli diagnostica il cancro. Anche prima della visita l’uomo era malato, ma non conosceva la gravità del suo male. Così il peccato era nel mondo anche prima della legge mosaica, ma non era conosciuto come peccato nella sua gravità; la legge ha rivelato che l’uomo è peccatore, e che il salario del peccato è la morte. Torniamo al versetto 12 e domandiamoci: in che modo tutti hanno peccato? Molti commentatori dicono in maniera rappresentativa, per la solidarietà della razza con il capostipite (concetto ebraico della personalità corporativa; Ebrei 7,9-10). La trasgressione (parabaino) di Adamo è riferita al precetto dell’Eden. Invece il peccato (hamartia, al singolare) è più che una semplice disubbidienza: è l’atteggiamento negativo di fondo nei confronti della grazia, la rottura del rapporto di amicizia con Dio, lo spirito di rivolta che causa trasgressioni. Non è una realtà ontologica ereditata, si tratta piuttosto di una peccaminosità comune. È la situazione in cui tutti gli uomini si trovano e di cui Adamo è “responsabile” come capostipite.

Paolo Mirabelli

16 ottobre 2018

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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