Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La parabola de Le dieci vergini (Matteo 25,1-13) si trova solo presso Matteo, anche se alcuni tratti -lampade, nozze, sala delle nozze, sposo - ricorrono anche altrove. Si tratta di immagini sulla bocca di Gesù che possono essere state riportate più volte nella tradizione evangelica. Il brano ha suscitato molte discussioni tra gli studiosi. Ne accenniamo soltanto due. La prima: si tratta di un’allegoria o di una parabola? Alcuni studiosi vi vedono un’allegoria della solennità pasquale: la mezzanotte evoca l’esodo, il banchetto la cena pasquale, il grido dello sposo l’urlo degli egiziani alla morte dei primogeniti, le lampade il fuoco su cui si coceva l’agnello (cfr. Esodo12,11.29.30). In tal modo però il racconto biblico si trasforma in un insieme di dati misteriosi e occulti. Lo stesso si dica pure della interpretazione allegorica secondo la quale le vergini stolte simboleggiano i maestri giudaici: in questo caso l’allegoria si rivolge contro l’ipocrisia farisaica. Non c’è nessun indizio di una ipocrisia nel testo, per cui occorre rivedere la parabola nel contesto stesso di Matteo, come cercheremo di fare. La seconda: la parabola risale a Gesù o è una creazione mattaica? Anche qui vi sono due correnti: per alcuni autori, ad esempio Joachim Jeremias (teologo luterano ed esegeta del Nuovo Testamento, autore del libro: Le parabole di Gesù), risale al Gesù storico, per altri è una creazione della chiesa. Di questa opinione è Karl Paul Donfried (teologo luterano), dal quale trarrò spunti nel corso della mia esegesi, anche se non ne condivido in pieno la conclusione. A noi interessa il senso della parabola come si trova ora in Matteo. Partirò da unità che vanno sempre più estendendosi per cercare il senso della parabola-allegoria.


La parabola in se stessa. Per illustrare in qualche modo il regno dei cieli, Matteo presenta le dieci “vergini”: cinque delle quali provviste di olio (le prudenti) e cinque prive di esso (le stolte). Il punto centrale sta nel  fatto che l’ingresso al regno non è automatico, ma esige la presenza dell’olio per le lampade. Non si capirebbe l’insistenza su questo punto se non avesse un significato preciso. Ma dalla parabola non si possono trarre indizi per spiegare che cosa rappresenti l’olio.


L’olio. Per la sua identificazione, noi vediamo che la quinta sezione dei discorsi mattaici (23-25) insiste molto nel praticare e nell’osservare ciò che Gesù ha comandato. La conclusione (25, 31-46) mostra come base del giudizio finale una serie di azioni, come dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, accogliere i forestieri, coprire i nudi, visitare gli ammalati e i carcerati. Da esse dipenderà l’ingresso nel regno, per cui si può pensare che anche la parabola parli della medesima realtà e che di conseguenza l’olio sia appunto simbolo delle “opere della fede” (o della “fede che opera per mezzo dell’amore”). Esse sono appunto il motivo della separazione (come nel giudizio) tra le vergini stolte e le sagge. Anche la venuta dello sposo rientra nel tema del quinto gruppo d’insegnamento mattaico, in quanto richiama il giudice escatologico (24,30-36.50; 25,19s.31-33). Esso ritardava (24,34-48; 25,5) ma i cristiani non devono raffreddarsi (24,12); solo colui “che perdura sino alla fine (nell’attuare l’amore) sarà salvato” (24,13). Bisogna quindi essere vigilanti, perché può venire da un istante all’altro, ma quando verrà bisogna essere preparati. Questo secondo aspetto è sottolineato dalla parabola. Quelli che si addormentano (muoiono) preparati sono come le vergini dotate d’olio; quelli che muoiono senza opere, non sono preparati e mancano di olio come le vergini stolte; sono come i farisei ipocriti che all’esterno sembrano buoni ma all’interno non sono tali; sono come le tombe bianche al di fuori, ma piene di marciume all’interno (23,27). Nel Midrash  ebraico l’olio è il simbolo delle opere buone. Riferendosi alla frase “mescolato in olio”  di Numeri (7,19), così commenta il Midrash: “Allude alla Torah, il cui studio deve essere mescolato con le opere buone, in accordo con quanto abbiamo ora detto”.


Il senso della parabola nel contesto del vangelo. Quanto abbiamo detto fin qui si accorda con tutto l’insegnamento del vangelo di Matteo e specialmente con il primo insegnamento di Gesù: quello del cosiddetto sermone della montagna. Anch’esso termina con lo stolto e il saggio (come nella parabola delle vergini): il primo edifica la casa sulla sabbia perché ascolta e non fa, il secondo sulla roccia perché ascolta e fa (7,23-27). Lo stolto è simile a un albero che non reca frutti (7,17s), che con la bocca dice “Signore, Signore”, ma non compie la volontà del Padre (7,21; 25,11), costoro si sentiranno dire: “Non vi conosco” (7,23; 25,12). Occorre quindi essere preparati. La porta chiusa è pur essa un tema amato da Matteo. Nel giorno finale Gesù starà alla porta (24,33) e vi farà passare le persone pronte (25,10; 7,21). Non si tratta di una porta facile, perché è stretta quella che conduce alla salvezza, ma larga e spaziosa quella che conduce alla rovina (7,13-14). Per questo non vi passano i farisei, che anzi la chiudono di fronte agli altri (23,13), perché “dicono ma non fanno” (23,3). In Matteo 5,14-16 le buone opere sono presentate come una lampada luminosa che è vista dagli altri. Ora una lampada non poteva essere senza olio, che serviva per accenderla. In tale modo si dà gloria a Dio. Queste opere devono essere superiori a quelle dei farisei, pena l’espulsione dal regno. Anche l'incontro con Gesù “sposo”, assimilato alla festa nuziale, è un tema assai noto presso Matteo: si ricordi la festa nuziale alla quale gli invitati non vogliono partecipare (22,1-14). Al banchetto delle nozze occorre partecipare con l’abito adatto. L’amore di Dio verso il suo popolo (Israele) è pur esso presentato come un matrimonio: “Io passai ancora vicino a te e ti vidi. Ed ecco, era giunto il tempo dell'amore per te. Allora io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità (Era questo uno dei modi con cui si potevano realizzare le nozze). E ti feci il mio giuramento e conclusi un patto con te: parola del Signore Dio. E così divenisti mia” (Ezechiele16,8-9; cfr. Osea 2 e il libro del Cantico dei Cantici).


Il senso del vocabolo “vergine” alla luce del Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento ci può far capire il senso di “vergine”: Gesù è lo sposo per Matteo e quindi la vergine, che è la sposa, è la chiesa. Paolo così dice a quei di Corinto: “Io sento una gelosia divina per voi, perché io vi ho fidanzati a Cristo per presentarvi come una vergine pura al vostro sposo” (2 Corinzi 11,12).  Nella sua parabola Matteo si riferisce come Paolo al tempo dell’intervallo tra la conversione e la parusia, quando si attuerà il matrimonio tra Gesù e la sposa (Apocalisse 22). Le vergini stanno per tutti i discepoli, che si incontreranno con lo sposo. Non sono ragazze giovani, ma discepoli di Cristo, adulti e consacrati a Lui. Essi sono la sposa, non le amiche della sposa. Ma che ora vi siano tra i credenti anche alcuni che non sono veramente tali appare dalla parabola del grano e della zizzania (13,24-30), dall’allegoria della rete (13,47-50), dalla scena del giudizio (25,31-46).


Le stolte e le avvedute. Se l’olio indica le opere che provengono dalla fede, diviene chiaro che le vergini sagge non possono trasferire il loro olio alle stolte: è infatti impossibile trasferire ad altri la nostra “obbedienza”, com’è  pure assurdo comperare le opere buone dai venditori (25,9). Le stolte cercano di comprare l’olio ma non serve a nulla: lo sposo le ascolta (anche se la porta è chiusa) e le respinge perché non si erano preparate al momento giusto. “Non si può raccogliere uva dalle spine, né fichi dai rovi; ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo, frutti cattivi” (7,16-20). Ne deriva che implicitamente viene esclusa ogni indulgenza, ogni merito mio a favore degli altri. Quello che conta è solo l’amore di Dio in Gesù, che si manifesta nel discepolo attraverso il suo agire corrispondente e coerente. Io posso aiutare gli altri con il buon esempio, con la preghiera, ma ognuno si prepara con la sua vigilanza all’incontro con lo sposo. Questo è il senso inteso da Matteo nel riferire la parabola di Gesù (25,13).


Conclusione. L’invito alla vigilanza vale per tutti. Al tempo della stesura del vangelo di Matteo vi erano cristiani già morti, e si sentiva il ritardo di Gesù che viene a mezzanotte. Anche gli ebrei, che  attendevano la venuta del Messia, vi andavano incontro con i loro sforzi per attuarlo. Si pensi agli esseni e agli zelanti nella legge. Ma anch’essi in questo ritardo del Messia si dovevano preparare con opere di ravvedimento, come disse Giovanni il Battista: “Fate frutti di ravvedimento”. L’unica vera preparazione sta nel compiere la volontà del Signore e riconoscere in Gesù l’inviato di Dio. Altrimenti la porta sarà chiusa e inutilmente vi si busserà. Non si può rimandare definitivamente la conversione perché può sopravvenire la morte e allora non sarà più possibile alcun cambiamento. Nel pensiero di Gesù la parabola era anche un invito al ravvedimento, con un comportamento coerente,  atto ad accogliere Gesù, come Messia e Cristo. Si noti come anche Gesù affermasse: “Ravvedetevi perché il regno di  Dio è vicino” (4,17).


Nota degli editori. Questa parabola de Le dieci vergini (Matteo 25,1-13) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le note riportate in parentesi e alcune parti del testo sono di Paolo Mirabelli, che ha curato la revisione, strutturato la parabola e riformulato alcune espressioni. La trascrizione dei testi è di Cesare Bruno e Roberto Borghini.

Fausto Salvoni

31 maggio 2018

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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