Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Non si capisce la lettera agli Ebrei se non si conosce l’Antico Testamento. Non si capisce il discorso sul sacrificio e la mediazione di Cristo se non si conosce il sistema levitico. L’Antico Testamento è propedeutico alla comprensione di gran parte della lettera. Il capitolo 9 di Ebrei, dal quale abbiamo isolato questi due versetti, rimanda certamente all’istituzione del sacerdozio levitico e ai sacrifici, al giorno dell’espiazione fatta dal sommo sacerdote, prima per i peccati del popolo e poi per i suoi, ma evoca pure un fatto legato al Sinai. Il libro dell’Esodo (24,1-8) racconta il momento in cui viene conclusa l’alleanza tra il Signore e Israele, con la mediazione di Mosè. Per suggellare solennemente la stipula del patto viene usato il sangue: prima viene costruito un altare con dodici pietre (stele), una per ogni tribù d’Israele; poi si fanno degli olocausti e dei sacrifici; infine viene versato il sangue, per metà sull’altare e per l’altra metà sul popolo. Con il “sangue del patto” viene sancita l’alleanza tra i due contraenti: da un parte Dio, dall’altra il popolo, al quale viene letto il libro dell’alleanza, affinché in modo consapevole Israele possa pronunciare il suo “sì”. Su questa linea di pensiero si muove il nostro brano della lettera agli Ebrei. L’Antico Testamento stesso anticipa la stipulazione di un nuovo patto, fondato su promesse migliori (8,6-13), e l’insufficienza dei sacrifici di animali compiuti, anno dopo anno, nel santuario terreno (9,1-10). L’autore, in poche battute, evidenzia i grandi mezzi con i quali il Cristo, sommo sacerdote dei futuri beni, entra nel santuario e ottiene per noi una redenzione eterna. Ai ripetuti sacrifici del sistema levitico, egli contrappone il sacrifico unico e irripetibile del Cristo, compiuto una volta per sempre (ephapax).


Per cogliere bene il significato e il senso delle parole del nostro brano, occorre prima chiarire a che cosa si riferisca l’autore con i termini “tenda” (skenes) e “santuario” (hagia). Infatti, la tenda, più grande e perfetta, non può essere paragonata con la tenda o tabernacolo che Mosè fa erigere nel deserto per custodire l’arca dell’alleanza, perché designa un’altra realtà, ben nota ai primi cristiani. Inoltre essa va intesa in rapporto all’altro mezzo, ossia al sangue, e alle ulteriori qualificazioni, su cui bisogna fare delle precisazioni. Quando si dice che la tenda “non è costruita da mano di uomo” ci si riferisce al corpo di Gesù. Nella purificazione del tempio (Giovanni 2), Gesù parla del suo corpo glorioso come del tempio che lui farà risorgere dopo tre giorni. Al processo di Gesù, dei falsi testimoni lo accusano di voler distruggere il tempio. Benché tale affermazione si trovi in una deposizione di falsi testimoni, il suo tenore orienta chiaramente a capire che non è questo che l’evangelista considera falso, poiché Gesù ha realmente affermato tale “profezia”, ma il non aver capito che la tenda di cui stesse parlando fosse il suo corpo glorioso, nuova creazione realizzata in tre giorni, dopo l’effusione del suo sangue, sparso per noi sulla croce.


La tenda, che è il corpo glorioso di Cristo, consente all’umanità aspersa dal sangue di lui, di entrare in contatto, o meglio in comunione, con il santuario, ossia con la santa presenza di Dio. Cristo ha, in altre parole, portato a compimento ciò che nell’Antico Testamento era desiderato ma impossibile da realizzare. D’altronde, se Dio si accontentava di considerare efficaci i sacrifici animali, quanto più egli reputa definitivo il sacrifico fatto da suo Figlio sulla croce. In forza di tutto questo, Cristo può ben essere considerato il mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione dei peccati commessi sotto la prima alleanza, coloro che sono chiamati ricevano l’eredità eterna che è stata promessa.


Sullo sfondo dell’alleanza al Sinai si stende idealmente la grande scena del sacrificio di Cristo alla croce per i nostri peccati. Nella cornice aspra e solitaria di quel monte del dialogo tra Dio e Israele si stabilisce un’alleanza, un patto. Il sangue è il simbolo della vita, l’altare è il segno della presenza di Dio, il popolo è tutto attorno all’altare come un’unica comunità spirituale. Il sangue sacrificale è versato da Mosè sull’altare e sul popolo, quindi sul luogo della presenza di Dio e sull’uomo. Un patto di sangue lega il Signore e Israele in una relazione d’intimità, amore e fedeltà. Tenendo conto di quanto accaduto al Sinai, l’autore della lettera agli Ebrei guarda al sacrificio di Cristo, al suo sangue versato per il perdono dei peccati e la stipula del nuovo patto. Il valore del suo sacrificio è immensamente più grande dei sacrifici levitici: quelli erano ripetuti, questo è stato compiuto una volta per sempre, perciò capace di procurare una redenzione eterna.

Paolo Mirabelli

28 maggio 2018

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