Una delle caratterizzazioni della post-modernità è la fine delle grandi narrazioni. Il nostro tempo è segnato dalla fine delle metastorie. La globalizzazione fa si che popoli e culture differenti debbano convivere insieme come non mai; non entro qui nella problematica della convivenza. Basta visitare una qualunque scuola, di ogni ordine e grado, di una grande città per rendersene conto. E questo fa sì che l’altro, il mio prossimo, non necessariamente condivida le mie stesse storie di un tempo. La mia storia è diventata un tassello di un grande puzzle. E la mia fede è chiamata a confrontarsi con la fede degli altri. Si rimprovera a Lutero di aver diviso l’unità della fede che c’era in Europa fino alla Riforma. In realtà questa è un’affermazione antistorica. Le divisioni, purtroppo, sono una costante nella storia del cristianesimo. Persino nel Nuovo Testamento sono presenti, il caso più noto è quello della chiesa di Corinto, ma non meno grave era la situazione nelle chiese della Galazia, con la questione dei giudaizzanti, o nelle comunità giovannee, con lo gnosticismo nascente e il docetismo. Una delle differenze tra le prime comunità e il nostro tempo è questa: oggi il disaccordo e le controversie dottrinali creano nuove confessioni, allora chi desiderava essere fedele a “ciò che era da principio” si richiamava all’insegnamento degli apostoli, trasmesso negli scritti del Nuovo Testamento. La diversità e le divisioni pongono ogni volta di nuovo la questione identitaria, alla quale bisogna cercare umilmente e con rispetto di dare risposta. Ma voi chi siete? Quali sono le vostre radici? A quale modello di chiesa vi richiamate? Qual è la vostra storia?
Ovviamente ci tengo a precisare che le cose che scrivo riguardano me e non impegnano nessun altro: ognuno è libero di definire la propria identità come meglio crede. Certo mi fa piacere sapere che altri condividano questo mio pensiero. Partiamo da molto lontano. Quando il Signore libera Israele dall’Egitto, faraone domanda a Mosè: “Ma chi è il vostro Dio?”. Per il mondo antico esistono tante divinità; ogni regione ha il proprio dio e ogni dio ha la sua peculiarità: c’è il dio della pioggia, il dio della fertilità, il dio della luce, il dio della guerra. Il Signore fa dire a Mosè: “Dio è uno e tutti conosceranno che non c’è altro Dio oltre al Signore”. Poiché Dio è uno, la realtà viene ricondotta a unità e la vera domanda diventa: chi è Dio? Senza il Signore, Israele è un popolo come tanti. È il Dio d’Israele che rende Israele il popolo di Dio. Nel Nuovo Testamento la domanda diventa: “Chi dice la gente che io sia?”. Non chi siamo noi, né che dice la gente di noi? Non è dato ai discepoli cambiare la domanda né sostituirne il soggetto. Senza Gesù, noi non siamo chiesa né popolo di Dio, senza di lui “non possiamo far nulla”. La nostra identità è totalmente dipendente da lui. Spostare il baricentro da “chi è lui?” su “chi siamo noi?” comporta inevitabilmente una rottura tra i cristiani. Sempre il Nuovo Testamento ci fornisce una bella illustrazione di questo fatto. I due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, incontrano un tale che opera miracoli, caccia demoni nel nome di Gesù, ma non appartiene alla cerchia dei dodici.: “Non ci seguiva” (ovvero, non seguiva “noi”), dicono a Gesù. La risposta del Signore è perentoria: “Non glielo vietate”. Non “noi” siamo il criterio di aggregazione e di unità dei discepoli, ma unicamente Gesù Cristo. Noi siamo e vogliamo essere semplicemente dei suoi umili discepoli.
Io non mi identifico in un particolare movimento, né faccio mia la storia di qualche padre fondatore, ma affondo le mie radici in colui che è “la radice e la discendenza di Davide”. Il modello di chiesa a cui mi richiamo è quello del Nuovo Testamento. Alcuni di noi non si rendono conto di proporre come modello non la Bibbia, ma un modello di chiesa frutto di riflessioni umane. Così facendo elevano delle conclusioni umane a ordinamenti divini: non mi risulta che tali uomini fossero ispirati da Dio. Una sorella nigeriana venuta in Italia ha portato con sé i calicetti per la cena del Signore. Quando le ho chiesto il perché, lei mi ha risposto: “Perché questo è il modo corretto di fare la Cena del Signore”. Ecco un modo settario di proporre la chiesa. Non sono i calicetti o l’innario o un particolare libro sulla chiesa che dobbiamo portare con noi, ma unicamente la Bibbia. La storia è piena di uomini e di donne che hanno amato Gesù e seguito il suo insegnamento. Io sono grato a Dio per tutti coloro che con il loro esempio, la loro predicazione e i loro scritti mi hanno aiutato a crescere nella fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Signore, e a conoscere meglio il Vangelo. Io voglio essere parte di questa storia più grande, perché è la storia del popolo di Dio.