Il capitolo 4 di Marco assomiglia al capitolo 13 di Matteo, quasi tutto dedicato alle parabole. Fino al capitolo 3 il vangelo di Marco mostra principalmente gli spostamenti continui di Gesù, caratterizzati dall'annuncio del regno di Dio (1,15) e dai molti prodigi che ne danno conferma. Questo ministero itinerante culmina con le parole di Gesù relative ai suoi parenti, cioè la madre e i fratelli: “Chi fa la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre” (3,35). Il capitolo 4, con le parabole, è come se facesse il punto sull’annuncio del regno fatto da Gesù e sull’accoglienza fatta dai discepoli e dalla gente. Pare essere questo il tema delle parabole del regno. Spesso le parabole che Gesù narra sono seguite dall'incomprensione degli uditori e dalle spiegazioni che egli fornisce ai suoi discepoli (4,34). In effetti, il linguaggio semplice delle parabole rivela mentre nasconde, e richiede una intelligenza umile e non arrogante, un atteggiamento di discepolo e non di maestro, una sapienza e una capacità di cogliere in unità la terra di cui narrano le parabole e il cielo a cui alludono.
La parabola del seme è contenuta soltanto nel vangelo di Marco. Il significato centrale è costituito dal contrasto tra la crescita incessante del piccolo seme in terra e l'attesa inattiva da parte dell'uomo. Gesù paragona il regno di Dio a un seme che da sé germoglia e cresce. Ne descrive con cura tutte le tappe. Il regno di Dio è paragonato a un evento che va dalla semina alla mietitura. L’attenzione della parabola è rivolta al passare del tempo: fra l’atto della semina e quella del raccolto passa un lungo tempo. Attori del racconto sono l’uomo, il seme e il terreno. L’uomo compare nel primo momento, la semina, e nel terzo, il raccolto; invece è assente o scompare nel secondo, la crescita del seme. La parabola mostra o evidenzia un contrasto fra il tempo dell’azione del contadino e il tempo della inattività. C’è un tempo, un tempo lungo, in cui tutto è affidato al seme e al terreno. Il tempo passa e intanto il seme gettato in terra germoglia e cresce, fino a diventare spiga, fino al tempo della mietitura. Il seme cresce senza una causa visibile: è l’azione miracolosa di Dio (che dona la vita e ogni cosa) che consente al seme di germogliare in terra e di crescere. Il seme cresce, nonostante le apparenze e le incertezze. Questa è pure una lezione di fiducia. Il seme che cresce ci dice anche un’altra cosa: il tempo della mietitura viene. Anche questa è opera di Dio. C’è un momento in cui il seme fatto spiga consente la mietitura. La parabola si apre così alla dimensione escatologica, a un futuro che tende verso un compimento: l’uomo non conosce questo tempo o questa ora, ma il seme che cresce e diventa spiga indica che ci sarà un momento per la mietitura. Ed è questo momento che va contemplato; è in vista di questo momento che, come dice la lettera di Giacomo, il contadino deve sapere attendere con pazienza.
Il contadino che ha gettato il seme in terra non può fare altro che attendere fiducioso la crescita del seme. Il contadino può riposare oppure tornare alle sue attività di sempre. Intanto il seme si sviluppa di giorno e di notte senza che lui sappia come. Non dipende dal contadino la crescita del seme: è la terra che fruttifica “automate”, come dice letteralmente l’avverbio greco, da sé e senza una causa visibile, in maniera diremmo noi quasi automatica. Qui non si allude alla forza della natura, bensì al miracolo di Dio, che regge l’universo. Due elementi vanno precisati. Primo, attesa inattiva e ignara dell'uomo (4,26) non vuol dire apatia e disinteresse, ma sottolinea semplicemente la verità che la crescita del seme è dono di Dio, frutto della sua grazia, non dipende certo dall'uomo. Sapere che la crescita del regno è opera di Dio libera il discepolo da un affanno inutile. Secondo, il riferimento alla mietitura (4,29) evidenzia che come per il seminatore è certo il tempo della raccolta, così Dio con certezza farà arrivare la pienezza del suo regno. L'avvenuto inizio rimanda con sicurezza a un compimento, progettato da Dio, non certo dall'uomo.
Come il seme nella terra cresce da sé (automate), in un modo ignoto e quasi misterioso all’uomo, così accade al regno di Dio, che cresce mediante un’azione di Dio incessante e prodigiosa, nascosta e autonoma. È il regno di Dio, gettato nella storia come un seme, che viene; non sono gli uomini a farlo venire. Non è l’uomo a garantire il successo del regno. Il regno non è degli uomini, ma di Dio. La sua crescita non va forzata, come volevano fare gli zeloti al tempo di Cristo e come fanno gli “attivisti cristiani” in ogni tempo. Il regno di Dio non è una questione di organizzazione, di strategie o di efficienza, ma di accoglienza.
Paolo Mirabelli
23 giugno 2024