Dio sceglie Ezechiele come suo profeta e portavoce presso gli israeliti esiliati in Babilonia. Ci sono due deportazioni degli ebrei in Babilonia: la prima nel 597 avanti Cristo; la seconda, più massiccia, circa dieci anni dopo, nel 586. Il Signore non si limita a chiamare Ezechiele, ma lo trasforma con lo Spirito: “Lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi” (2,2). Dio dà l’incarico e nel contempo la capacità di svolgerlo. Il Signore non illude il suo profeta, non lo inganna, ma gli dice in modo chiaro che non sarà ascoltato, che le sue parole saranno rifiutate e la sua missione si svolgerà tra tante difficoltà. Gli israeliti saranno per il profeta come “cardi e spine”, e per Ezechiele sarà come “abitare tra gli scorpioni”. Gli israeliti in esilio, ai quali Ezechiele è inviato, sono testardi e hanno il cuore indurito. Le ragioni che essi stessi adducono per rifiutare il messaggio del profeta sono varie, ma sono tutte delle scuse. Il vero motivo è soltanto uno: “Hanno il cuore indurito”. Il loro rifiuto è frutto di una scelta consapevole: “La casa di Israele non vuole ascoltare me” (3,7). Il loro rifiuto è segno di un atteggiamento che ha lontane radici: “Essi e i loro padri si sono rivoltati contro di me fino a oggi” (2,3). La loro cecità è come l’ultima maglia di una catena di ferro che, generazione dopo generazione, rende le tenebre sempre più fitte.
Gli esiliati in Babilonia, che rifiutano l’avvertimento del Signore, non solo sono responsabili della loro ostinazione, ma sono anche ciechi di fronte agli avvenimenti. Tuttavia è una responsabilità che va condivisa anche con tutti coloro che li hanno preceduti: i loro padri non sono stati certo dei buoni maestri che hanno educato i figli alla fede. La cecità non è solo dei figli, ma anche dei padri che ne hanno costruito le premesse, gettato le fondamenta. Ezechiele non è un pessimista, come ce ne sono tanti oggi, ma un profeta onesto che riferisce le parole del Signore; non è come quei predicatori che condannano il presente ed esaltano il passato, i quali ripetono: “Una volta sì che era diverso!”. Il profeta non è un nostalgico, che vive in un passato che non torna. Ezechiele vive nel suo tempo: egli sa bene che i figli e i padri hanno contribuito, in tempi diversi, a costruire il mondo nel quale ora si trovano. Accade la stessa cosa pure oggi: padri e figli siamo responsabili di aver costruito il mondo in cui ora viviamo, in bene e in male.
Ezechiele si accorge di vivere in mezzo a degli esiliati che sono duri di cuore e ciechi. La loro cecità e durezza di cuore consiste nel non aver capito nulla di ciò che è accaduto. L’esercito babilonese è entrato in Gerusalemme, seminando morte e distruzione, deportando il re in cattività: tutto questo è un avvertimento molto chiaro che bisogna ravvedersi, tornare al Signore, cambiare vita. Gli esiliati però non hanno capito ancora la lezione e l’avvertimento del Signore. Essi pensano che la sconfitta sia dovuta a un errore politico, a un calcolo sbagliato, e che per salvarsi occorra fare alleanza con un esercito più forte. No, non è questione di politica o di strategie militari, ma di conversione; non di eserciti e nemmeno di riforma intellettuale, ma di ritorno al Signore.
Pur nella sua brevità, questo testo offre preziose indicazioni sulle tre fondamentali coordinate di ogni missione: il mandante, il mandato, i destinatari. Mandante, colui che manda Ezechiele è il Signore Dio: “Io ti mando” (2,3). Lo Spirito (ruah) entra nel profeta e lo rende capace di ascolto e di compiere la sua missione. Mandato, è il profeta Ezechiele, caratterizzato ripetutamente (più di 90 volte) come Figlio d’uomo. L’espressione denota probabilmente l’essere umano nella sua debolezza e fragilità, e sottolinea come sia effettivamente il Signore a rendere Ezechiele capace di compiere la sua missione. Infatti, nonostante questa sua condizione di estrema debolezza, il profeta è abilitato a parlare in nome di Dio e a riferire le parole di Dio: “Così parla il Signore, Dio” (2,4). Destinatari della missione sono i figli d’Israele.
La storia lunga della loro infedeltà, vista sia nel passato (“i loro padri”) sia nel presente (“fino ad oggi”), è caratterizzata come storia di ribelli, non solo o non tanto contro una legge, ma contro Dio stesso, “contro di me” (2,3). Tre espressioni caratterizzano l’infedeltà degli israeliti: si sono ribellati contro il Signore; hanno peccato; sono diventati “figli dalla faccia dura” e dal “cuore ostinato”. Il peccato si traduce così in un duplice indurimento: interiore (cuore) ed esteriore (faccia). Tuttavia, il fatto che il profeta sia mandato ed eserciti la sua missione dimostra che Dio è presente nella vita del suo popolo, veglia sul suo piano salvifico, e offre un futuro di speranza.