Questo brano di Giovanni fa da introduzione ai capitoli 13-17, che vengono comunemente detti “discorsi di addio”. L’evangelista parla di una cena fatta da Gesù con i discepoli. Si discute se sia la stessa cena pasquale riferita dai sinottici, oppure un’altra. Noi qui non entreremo nella discussione e non ci occuperemo nemmeno della datazione dell’ultima cena. Seguiremo invece il racconto, che pare muoversi in due direzioni: rivelare l’identità di Gesù e la sua opera salvifica; mostrare lo stile di vita richiesto ai discepoli. Gli avvenimenti riportati sono posti nell’orizzonte dell’amore di Gesù, che ama i suoi discepoli sino alla fine (13,1). In contrasto con quest’amore c’è il tradimento di Giuda, suggerito dal diavolo. Gesù è pienamente consapevole della sua passione: il participio “sapendo” è ripetuto ben due volte, in 13,1 e 13,3. Egli conosce la “sua ora”; l’ora della morte, che è anche l’ora “di passare da questo mondo al Padre” (13,1). Gesù ha piena coscienza di dove viene e dove va (13,3). Due gesti contrastanti si staccano in questo contesto così intenso: il tradimento di Giuda e il dono che Gesù fa di sé ai discepoli. Ma questi due gesti, così lontani tra di loro, sono messi l’uno accanto all’atro: Giuda tradisce Gesù e lo consegna ai suoi carnefici, ma è anche Gesù che si consegna alla croce per amore, per salvare l’uomo. Gesù allora non è una inconsapevole vittima del suo destino, schiacciato dalla potenza di satana e dalla malvagità degli uomini; la sua morte non è una fatalità, dovuta a giochi di potere, che lo coglie di sorpresa. Gesù va incontro alla croce per amore: un amore oltre ogni limite; un amore inaudito, impensabile per l’uomo.
Giovanni nel suo vangelo non parla dell’autorità intesa come puro servizio, come fanno i sinottici, neppure della scelta dell’ultimo posto per chi vuole essere primo nel regno di Dio, ma è l’unico a ricordare questo gesto di grande umiltà e di servizio compiuto da Gesù nelle ore precedenti al suo commiato: la lavanda dei piedi. Un gesto pieno di significato. La lavanda dei piedi era un servizio compiuto non da un comune domestico, ma dallo schiavo. Era addirittura considerata indegna da parte di un uomo libero. Gesù, che proprio in questo contesto si definisce “Maestro e Signore”, non trova affatto irriverente o spregevole compiere un tale atto. Il suo gesto non manca di creare stupore e disagio a Pietro e agli altri discepoli, abituati come noi alle logiche umane. Lavando i piedi ai suoi discepoli, Gesù segnala una sua scelta sociale, quella di stare con i discepoli umili e ultimi, e rivela di essere il Messia servo: mite e umile di cuore, venuto per servire, non per essere servito.
La lavanda dei piedi è un gesto pieno di significato, non soltanto per il valore storico e il gesto in sé. A cena inoltrata, Gesù si alza da tavola, depone le vesti, si cinge i fianchi con un asciugamano, mette dell’acqua in un catino, si dirige verso i suoi, si inginocchia davanti a ciascuno di loro, e lava i piedi ai suoi discepoli, ad uno ad uno, e li asciuga. A quanto pare, fa così anche con Giuda che sta per tradirlo. È la sua ultima lezione di vita che dà ai discepoli a tavola con loro. Finito di lavare i piedi, riprende le sue vesti, si mette di nuovo seduto a tavola e spiega ai suoi discepoli il gesto che ha compiuto: “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13,15). Il vangelo ci esorta a chinarci gli uni davanti agli altri. È un comando nuovo, che non si trova tra gli uomini; non nasce dalle nostre abitudini, tutte ben solidamente contrarie. È un comandamento e un gesto che viene dal Signore. Lavare i piedi agli altri non è soltanto un gesto, ma è uno stile di vita. La vita, infatti, secondo questo brano del vangelo e alla luce del gesto compiuto da Gesù, è chinarsi e piegarsi verso i fratelli, le sorelle, il prossimo; verso i più deboli e i poveri, gli emarginati e ultimi, gli sconosciuti e i senza nome; persino verso il nemico, poiché l’unico modo per vincerlo è farselo amico, tentando di vincerlo con l’amore, il servizio, l’umiltà, facendo in modo che egli non sia più nemico. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso gli altri. Terminata la cena, dopo essersi inginocchiato ai piedi dei suoi, Gesù s’incammina verso l’orto degli ulivi. Da questo momento in poi non solo egli s’inginocchia, ma scende ancora più in basso per amore nostro: nell’orto degli ulivi s’inginocchia ancora, anzi si stende a terra; e dopo aver pregato per conoscere la volontà del Padre, si sacrifica sulla croce per noi.
Il gesto compiuto da Gesù durante la lavanda dei piedi viene narrato da due verbi che esprimono l’azione di deporre (tithenai) e di ripigliare (lambanein): nel suo abbassamento Gesù ha deposto le vesti e la vita, ma con la risurrezione ha ripreso la vita e la gloria ed è ritornato al Padre.