Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Questo discorso di Pietro è pronunciato al portico di Salomone dopo la guarigione dello zoppo al tempio. È il miracolo e la gioia dell’uomo guarito che attirano tanta gente, incuriosita e meravigliata di quanto accaduto. Pietro allora si rivolge al popolo, uomini israeliti, uditori di origine ebraica, e spiega che la guarigione dello zoppo è opera di Dio, compiuta per il nome di Gesù (3,16). Sono molti gli elementi importanti in questo discorso di Pietro. Potremmo soffermare sui titoli usati in riferimento a Gesù: Servo, Santo, Giusto, Principe/Autore della vita, Cristo, Profeta. Qui però ci limitiamo soltanto a rilevare alcuni punti sulla relazione tra Gesù e l’Antico Testamento.


Innanzitutto emerge la continuità tra l’agire di Dio nell’Antico Testamento e la risurrezione di Gesù Cristo, espressa con il termine “glorificare”. Chi risuscita Gesù dai morti non è un Dio che Israele non conosce, ma è quello stesso Dio che si è rivelato ad Abramo, Isacco e Giacobbe; è il Dio dei padri d’Israele. Dice infatti l’apostolo: “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù” (3,13). La risurrezione di Gesù non è qualcosa di estraneo all’Antico Testamento, ma si inserisce perfettamente nel disegno benevolo di salvezza pensato da Dio per gli uomini, che passa attraverso la croce e culmina nella gloria della risurrezione. Senza la croce e la risurrezione, il piano di salvezza sarebbe parziale, incompleto, senza compimento.


Il glorificato da Dio, dice Pietro, è “il suo servo Gesù” (3,13): la conclusione del discorso riprende il tema del “Servo” (3,26). Così dicendo, l’apostolo identifica Gesù con il “Servo sofferente” di cui parla l’Antico Testamento, in modo particolare il profeta Isaia nei “Canti (o Carmi) del Servo sofferente del Signore” (Isaia 42; 49; 52-53). È in questi testi biblici che si delinea già l’agire di Dio. Il Servo sofferente è il Messia glorificato, ovvero Gesù Cristo: lo prova l’intervento decisivo di Dio che lo risuscita. E allora la risurrezione di Gesù si inserisce nella logica di Dio, nel piano della salvezza, che passa misteriosamente attraverso la croce e culmina nella gloria della risurrezione.


Pietro accenna alle sofferenze subite da Gesù, dicendo che “Dio aveva preannunziato per bocca di tutti i profeti le sofferenze del Cristo” (3,18). Due dati emergono dal contenuto di questo versetto. Il primo, il Cristo di Dio non è un messia politico, atteso da molti, che libera dalla dominazione dei Romani, bensì è il Messia servo, è il Servo sofferente. Il secondo, le sofferenze del Cristo sono “preannunciate da tutti i profeti”. Dunque, secondo l’apostolo Pietro, tutti i profeti, “da Samuele in poi” (3,24), anzi, possiamo risalire fino a Mosè (3,21-23), parlano delle sofferenze del Cristo e della sua venuta. Nel vangelo di Luca, Gesù stesso spiega ai discepoli, dopo la risurrezione, che la Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi parlano di lui, e che in lui le Scritture sono adempiute (Luca 24,44-47). Non si può leggere l’Antico Testamento se non alla luce di Gesù il Cristo e il Signore. Senza di lui l’Antico Testamento rimane incomprensibile, incompiuto, oscuro. Egli è presente non solo in alcune profezie, bensì in ogni parte della Scrittura, dall’agnello pasquale al servo sofferente.


Per Pietro, Gesù non è solo il Servo sofferente, il Messia servo, ma è anche il Profeta promesso da Mosè (da Dio tramite Mosè) nel libro del Deuteronomio, capitolo 18, e atteso in Israele (3,22-23). Purtroppo anche questa scrittura non è compresa dal popolo che legge il Libro nelle sinagoghe ogni sabato. Stupisce che proprio il popolo che deve preparare il mondo alla venuta del Cristo, poi, alla sua venuta in terra, non lo riconosce, anzi, lo rinnega e lo rifiuta.


Ma perché Israele non riconosce Gesù come il Messia di Dio? Perché lo rigetta e ne chiede la morte in croce? Per “ignoranza”, dice Pietro (3,17) in questo discorso ispirato dallo Spirito. Ignoranza traduce il greco “agnoia”. Il termine è usato anche altrove negli Atti degli Apostoli e nel Nuovo Testamento: Atti 17,30; Efesini 4,18; 1 Pietro 1,14. Il vocabolo indica la difficoltà di comprendere la vicenda di Gesù e la sua vera identità, comprendere che il progetto di salvezza di Dio passa attraverso la sofferenza della croce e la risurrezione. Paolo altrove dice che la predicazione del Cristo crocifisso è scandalo per alcuni e pazzia per altri (1 Corinzi 1,23). Il piano di salvezza di Dio portato a compimento in Gesù segue un modo, una forma e una logica (dalla sofferenza e morte in croce alla gloria della risurrezione) che la ragione umana e la mentalità degli uomini non riescono a comprendere. Per entrare in questa “logica” di Dio è richiesto un cambiamento di mentalità, una conversione appunto, un “ravvedetevi e convertitevi” (3,19), un credere all’Evangelo.

Paolo Mirabelli

14 ottobre 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.