Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il capitolo 6 del vangelo di Giovanni contiene il miracolo della moltiplicazione dei pani e il discorso di Gesù sul pane della vita. Discorso “ostico” per molti dei suoi discepoli, delusi forse dal fatto che Gesù non corrisponde al loro desiderio di avere un messia politico e alle loro attese, ma è uno che fa precise richieste: una fede personale, l’amore per i nemici, e come se non bastasse, chiede ai suoi di accettare l’imminente fatto della croce. Davvero “troppo” per molti dei suoi discepoli, tant’è che rinunciano a seguirlo. Costoro non capiscono Gesù non per incapacità, ma per volontà, per rifiuto. Ciò dimostra come il Signore non lascia mai indifferenti le persone: alcuni si sentono offesi, altri edificati, ma tutti sono provocati. Chi è discepolo di Gesù, accoglie l’insegnamento del Signore senza “se” e senza “ma”, e riconosce che la Parola (Gesù) deve vincere gli umori, le delusioni, le false aspettative. Dopo il lungo discorso di Gesù sul pane della vita nella sinagoga di Capernaum, il capitolo 6 del vangelo di Giovanni si concentra sulla reazione dei discepoli: da una parte molti di loro mormorano contro Gesù e si scandalizzano, si tirano indietro e non lo seguono più; dall’altra rimangono i dodici che lo seguono e, con Simon Pietro, confessano la loro fede in Gesù, quale il Santo di Dio (questo titolo non consueto nei vangeli). Giovanni, dunque, ci presenta due reazioni, che si caratterizzano come rifiuto o adesione alla parola e alla persona di Gesù.


Le parole di Gesù sul pane della vita hanno all’inizio un uditorio molto ampio (la folla), ma ora la reazione che interessa all’evangelista è quella dei discepoli. Dallo sguardo ampio e iniziale sulla folla, si passa sui volti dei discepoli. L’intero capitolo ha un procedimento concentrico, a cerchi sempre più stretti: all’inizio Gesù si rivolge alla folla; all’interno della folla emergono poi i giudei, che mormorano; quindi l’attenzione si sposta sui discepoli; dai discepoli si sposta sui dodici; infine dall’interno del gruppo dei dodici, si concentra su due di loro, Simon Pietro e Giuda Iscariota: uno lo confessa, l’altro lo tradisce. Siamo così chiamati, come lettori del vangelo, a decidere il nostro rapporto con il Signore Gesù. Se all’inizio possiamo pure confonderci nell’anonimato della folla, alla fine siamo interpellati dal vangelo a venire allo scoperto e a decidere da che parte stare: con chi lo abbandona o con chi lo confessa e lo segue nella sequela?


Nei versetti 66-69 Gesù si rivolge ai dodici, i quali rischiano di essere influenzati dalla defezione degli altri, cioè dei “molti” che lo hanno abbandonato, non per svalutarne la fede, bensì per sondarla e incoraggiarla. La sequela non è come una “porta girevole” che consente di entrare e uscire quando si vuole. Il vero discepolo di Gesù segue il Maestro fino in fondo, fino alla fine. Pietro, a differenza dei molti che lo abbandonano, è un discepolo che si lascia attrarre dal Padre e confessa la sua fede in Gesù: “Signore, a chi ce ne andremo noi?”. Egli sa cosa cercare, sa che il “che cosa” è un “chi”: è la persona di Gesù, non altri, non altro. La parola di Gesù illumina il suo cammino. Anche Pietro, al pari della folla, si è saziato del pane e ha visto la grandezza del segno (miracolo), ma adesso non cerca né il pane né il segno: cerca Gesù. Egli ha capito come cercarlo, con quale atteggiamento interiore. Pietro è capace di dare del tu al Signore (come il piccolo pronome rivela), entrando in un dialogo e una relazione personale con lui. I giudei non entrano mai in relazione con Gesù: la loro è sfida, rifiuto, mormorazione, provocazione, come Israele nel deserto. Pietro invece si rivolge a Gesù con il tu della relazione personale. E in questa relazione che può capire chi è Gesù e accogliere la sua parola di vita. È nell’incontro personale che Gesù si rivela. Credere allora significa entrare in relazione con un tu, con Gesù. Nel suo itinerario di fede, Pietro passa dal tu hai al tu sei, come dire: dal tu hai pane al tu sei il pane della vita; dal tu hai parole di vita al tu sei la Parola della vita. Pietro forse non ha ancora compreso tutta la profondità delle parole e della persona di Gesù (e nemmeno la via della croce), ma si lascia ugualmente affascinare dalla sorprendente e inaudita novità di Dio. In questo spazio dell’incontro personale con Gesù, Pietro non è il solo e non è l’unico.


La risposta di Pietro è degna di attenzione: all’infuori di Gesù, non v’è fede, non v’è cammino, non v’è speranza. Non vi sono alternative, e questo va ribadito in tempi come questi in cui la confusione religiosa favorisce il proliferare di “tanti cristi”. In quel noi di Pietro riecheggia la fede dei dodici, quella nostra e quella della comunità in ascolto: “Signore, a chi ce ne andremo noi? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.

Paolo Mirabelli

23 agosto 2024

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.