Siamo nei discorsi di addio di Gesù: capitoli 13-17 del vangelo secondo Giovanni. Dopo la cena e la lavanda dei piedi (capitolo 13), egli spiega ai suoi discepoli il significato della sua partenza, ovvero del suo ritorno al Padre (capitolo 14). Il tema della partenza è stato introdotto da Gesù fin dall’inizio di questi discorsi: all’inizio della cena (13,3), nel dialogo con i discepoli (13,31), nel breve dialogo con Pietro (13,36). All’udire queste parole di addio, i discepoli si sentono come orfani (14,28), per di più sapendo che saranno odiati dal mondo per il solo fatto di essere discepoli di Gesù (15,18). Le parole di Gesù del capitolo 14 rispondono a questo turbamento, sconforto, angoscia dei discepoli. È una reazione del tutto comprensibile, profondamente umana, quella di sentirsi orfani quando coloro che amiamo ci lasciano per andare con il Signore. Loro ci lasciano ma noi non vogliamo lasciarli andare via. Li vorremmo abbracciare e trattenere, come fa la Maddalena al sepolcro. Sappiamo di non rivederli più fino alla risurrezione, all’ultimo giorno, come dice Marta. Giovanni ci offre una immagine molto bella che potrebbe illustrare quello che si prova in questi momenti. Nel capitolo 6, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, c’è la traversata del lago o mar di Galilea. I discepoli sono sulla barca in mezzo a un mare agitato e in tempesta. C’è un forte vento. È ormai buio. Gesù è sul monte a pregare il Padre perché vogliono fare di lui un re politico (la politica ha sempre tentato di servirsi di Dio per scopi terreni). Gesù è lontano, li vede in difficoltà e decide di andare da loro, camminando sul mare. Come i discepoli “videro Gesù che camminava sul mare e si accostava alla barca, ebbero paura, ma Gesù gli disse: Io sono, non temete!” (6,19-20). I discepoli sono impauriti come chi sa di dover lottare contro una potenza ostile, come chi sente la minaccia della morte. Egli li incoraggia e li esorta a credere in lui. Gesù va al Padre ma non ci lascia da soli in questo mondo. Dobbiamo avere fede in Dio per superare il turbamento e vincere la paura (14,1-4).
Non sono le parole di Gesù che ci turbano e ci sconvolgono. Non siamo orfani di Dio: Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, e lo Spirito Santo, il consolatore, consola i nostri cuori. Non è il mare che è in tempesta oggi, ma è la terra che è sconvolta. Non ci sono fantasmi che camminano sulle acque, ci sono bombe e missili che attraversano l’azzurro dei cieli o le stelle della notte e recano distruzione e morte ovunque cadono. E la cosa che più ci fa paura è vedere capi di stato, uomini, donne, terroristi che non hanno paura della morte (questi ultimi perché drogati). Le immagini dei luoghi di guerra mi hanno fatto ripensare alla teoria del Big Bang: una grande, immensa esplosione, avvenuta miliardi di anni fa sulla terra, ha dato il via all’universo, creato il cosmo e generato la vita. Io vedo che ogni esplosione di bombe causa macerie, distruzione, frammenti piccoli e grandi, caos, disordine, morte (di uomini, donne, bambini, animali, cani, gatti, alberi). L’ordine non può venire da una esplosione, la vita non può nascere da una esplosione, l’ordine e la vita vengono da altrove: sono opera di Dio. Che disastro che abbiamo combinato nel mondo, e non sappiamo più come uscirne! Gesù promette ai discepoli di andare a preparare una dimora spaziosa per loro (e per noi) nella casa del Padre, e noi nel frattempo abbiamo pensato di distruggere le case dei padri e delle madri di tanta povera gente, costretta a vivere nelle tende, in qualche scantinato o nelle auto distrutte. Gesù dice ai suoi discepoli che essi conoscono la via (che porta al Padre). Ma noi quella via buona e diritta l’abbiamo lasciata per percorrere vie storte e oblique, come dice il profeta Isaia, andando di qua e di là, pensando che le “alleanze” umane fossero migliori di Dio. Stiamo però scoprendo che la via dell’uomo porta alla rovina e alla morte, come dice il libro dei Proverbi di Salomone. Gesù è l’unica via che conduce al Padre, ed è anche l’unica via della pace (la vera pace) tra gli uomini.
Gesù, dopo aver parlato ai suoi della sua partenza e averne spiegato il senso, parla della promessa del suo ritorno. Alcuni danno a queste parole un significato solo futuro: si riferiscono alla seconda venuta di Gesù. Altri invece affermano che, con la risurrezione, egli sia diventato il nuovo tempio di Dio (come promesso in 2,21) ed è lui il “luogo” in cui dimorare in comunione con Dio. L’una però non esclude per forza l’altra: possono essere compresenti. La questione invece più difficile è come noi cristiani viviamo il suo ritorno, come aspettiamo la venuta di Gesù. Purtroppo, quando parliamo di “avvento”, noi pensiamo solo al natale e ai regali, oppure lo vediamo come un evento sbiadito nel tempo, lontano. Non ci dimentichiamo che noi aspettiamo la venuta di colui che è presente.