Il nostro mondo occidentale si divide in chi crede e chi non crede, o almeno chi dice di non credere in Dio. E questo fa sì che il mondo si divida ancora in due categorie: c’è chi aspetta la morte (come dice un Salmo, non è possibile che l’uomo non muoia) e c’è chi aspetta la venuta del Signore. Noi non aspettiamo la morte; noi aspettiamo che il Signore venga e ci porti con sé nella casa del Padre. È questa la nostra fede. Persino quando partecipiamo alla Cena del Signore, come scrive Paolo, noi “mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice” per “annunciare la morte del Signore, finché egli venga” (1 Corinzi 11,26). Sembra una trasgressione del linguaggio annunciare la morte di uno che viene. Una delle cose che il morto non può più fare è venire. Eppure noi, partecipando al pane e al calice, annunciamo che Gesù è morto ma viene, perché è risorto dai morti e vive per sempre. Da questo nasce la nostra preghiera: “Marana tha!”
Sono tanti i brani del Nuovo Testamento che ci invitano alla vigilanza e alla attesa della venuta del Signore nostro, Gesù Cristo. Gli antichi parlavano di tre venute di Gesù (il Nuovo Testamento parla di due venute). La prima è la sua venuta su questa terra; venuto a cercare e salvare chi come noi era perduto. La terza è quella che siamo soliti chiamare “parusia” (che il Nuovo Testamento chiama la seconda venuta di Gesù). E la seconda di cui parlano gli antichi? È quella che riguarda ciascuno di noi. Gesù è venuto per ognuno di noi. Gesù è presente anche adesso in mezzo a noi: ogni giorno ci cerca e bussa alla nostra porta, al nostro cuore. Tra i tanti brani che parlano della vigilanza e della venuta del Signore, noi abbiamo scelto di leggere e commentare Luca 12,35-48.
Il testo contiene una esortazione alla vigilanza (12,35) e presenta tre parabole (12,36-38; 12,39-40; 12,42-46) centrate sul tema della vigilanza per la venuta del Signore. Gli antichi maestri di Israele dicevano che ci sono state quattro grandi notti nella storia del mondo. La prima, al momento della creazione, quando ancora non c’era la luce e non esistevano il sole e la luna. Era notte quando Dio disse: “Sia la luce!” (Genesi 1,3). La seconda, quando il Signore stipulò l’alleanza con Abramo, la notte scura dell’alleanza (Genesi 15). La terza, la notte dell’esodo dei figli di Israele dall’Egitto (Esodo 12). La quarta, la notte della attesa, prima che Dio creerà un nuovo mondo. Dell’attesa parla anche il nostro brano di Luca: con l’esortazione alla vigilanza e tre brevi parabole. Ogni cristiano è chiamato alla vigilanza nel tempo dell’attesa. È l’idea della parusia che rende credibile la sequela. È la coscienza che il Signore viene che impedisce ai servi di addormentarsi o di venir meno alle loro responsabilità. La consapevolezza della venuta del Signore diventa il pungolo per vivere la vita di fede fino alla fine; diventa il pungolo che impedisce al cristiano di assopirsi; diventa il pungolo che alimenta la speranza ed evita di essere vinti dalle cose mondane; diventa il pungolo che lo aiuta a sbarazzarsi da inutili pesi che ostacolano il cammino; diventa il pungolo che lo libera dalle ansietà della vita e dalle continue paure che occupano il cuore e tolgono il respiro.
La parabola dei servi vigilanti (12,36-38) sembra essere una beatitudine: “Beati quei servi vigilanti che sanno attendere, poiché il Signore stesso si farà loro servo”. I cristiani devono essere come quei servi svegli e pronti ad aprire la porta al padrone che torna dalle nozze. Nella figura paradossale del padrone che rientra a casa, a notte fonda, si “nasconde” il Signore che viene. Prima è stato chiesto ai servi di cingere le vesti; ora è il Signore che si cinge le vesti e si mette a servire i suoi servi a tavola. Possiamo qui scorgere il banchetto messianico e il Signore Gesù che si fa servo dei suoi servi. Nella parabola del ladro che viene di notte (12,39), Gesù esorta il padrone di casa a vegliare per impedire che la sua proprietà venga scassinata e derubata. Nella terza parabola (12,42-46) si mostra la fedeltà o l’infedeltà del servo nel tempo della attesa. Essa non parla di due servi: è lo stesso servo che può essere fedele o infedele al suo padrone. Ciò che conduce il servo a un comportamento abusante nei confronti degli altri servi è il ritardo del padrone: “Il mio padrone tarda a venire”. Questo peccato richiama quello degli ebrei al Sinai: quando Mosè tardò a scendere dal monte, si fecero un vitello d’oro, sostituendo Dio con qualcos’altro. Non sapere quando il Signore verrà, se alla seconda o alla terza vigilia della notte, serve a tenerci svegli nel tempo dell’attesa. Se il quando non ci è rivelato è perché non serve alla nostra salvezza e alla relazione con Dio. Sapere invece che il Signore viene ci fa vivere la vita di fede nell’attesa del compimento.