Il libro dell'Apocalisse è un messaggio di consolazione per i cristiani di tutti i tempi, anche se il termine apocalisse evoca il più delle volte catastrofi. É un messaggio di consolazione e di speranza a coloro che nella catastrofe si trovano già. L'Apocalisse è composta da una serie di immagini che aiutano i cristiani di ogni tempo a leggere la storia di sempre. Non sono una minaccia per i cristiani, ma l'incoraggiamento a vivere in questo mondo. Certe immagini spaventose in realtà sono la figura del potere disumano che produce solo sofferenza e morte. L'Apocalisse è fatta di due parti: nella prima parte ci sono le 7 lettere a alle 7 chiese dell'Asia Minore. È Cristo stesso che parla alle sue chiese e legge la loro situazione. Le chiese dell'Apocalisse risiedevano nell'ambito di antichi centri urbani situati sulle più importanti reti stradali della provincia romana dell'Asia Minore. Erano città importanti dedite all'attività commerciale e sede di centri amministrativi. L'ambiente benestante in cui esse erano sorte con lo stile di vita di quelle città, dove vigeva il culto dell'imperatore, e dove girava ogni specie di dottrine, senz'altro aveva un forte influsso e condizionamento sulla vita dei cristiani. Giovanni riceve l'incarico dal Signore di comunicare alle chiese quanto gli è stato rivelato. Le lettere mostrano uno stile particolare e originale e sono abbastanza diverse dal resto delle lettere che si trovano nel Nuovo Testamento. Il primo elemento che le distingue riguarda il mittente: è lo stesso Cristo risorto e lo Spirito che si rivolgono a quelle chiese, e tramite esse alle chiese di tutti i tempi e di tutti i luoghi. All'inizio del libro c'è la presentazione gloriosa del Cristo risorto. Al centro della storia c'è lui, la sua vita, la sua morte e risurrezione. Lui tiene 7 stelle nella sua mano, le 7 chiese; ciò indica lo stretto rapporto che unisce Cristo e le chiese, ma anche la forza e la potenza che continuamente vuole comunicare a loro. In ognuna di queste 7 lettere troviamo uno schema che possiamo articolare in cinque punti: 1) l’indirizzo; 2) un titolo diverso riferito a Gesù; 3) un elogio; 4) un ammonimento; 5) una promessa.
Alla chiesa di Efeso (2,1-7). La prima lettera è quella alla chiesa di Efeso. Efeso era una città ricca e popolosa, deteneva un ruolo commerciale e religioso di primo ordine. Famosa per l'artemision, il grandioso santuario (un tempio con oltre 100 colonne) dedicato ad Artemide (Diana per i latini), la dea della fecondità, una delle sette meraviglie del mondo antico, metà di pellegrinaggi, famosa per i suoi maghi. La città di Efeso vantava un teatro che poteva contenere migliaia di spettatori. La lettera è indirizzata all'angelo della chiesa di Efeso. Cristo fa 8 elogi a questa chiesa, vede innanzi tutto ciò che c'è di buono, di positivo. Questa chiesa, che vive in un ambiente pieno di sette e di culti diversi, si è impegnata molto a combattere i falsi apostoli che diffondono dottrine che erano in aperto contrasto con il genuino messaggio evangelico. Questa comunità si è impegnata con perseveranza nel mantenere la dottrina del Vangelo e nella evangelizzazione. Se da una parte si constata quanto è stato grande il dispendio di forze nel difendersi dagli avversari, dall'altra non è venuta meno la costanza nel sopportare i loro attacchi. Una volta esaminata la situazione della chiesa, che appare molto positiva, il tono della lettera cambia. Il Signore mette allo scoperto una grave mancanza della comunità: l’avere abbandonato il primo amore. La comunità ha abbandonato la cosa più importante: l'amore. Che cosa significa l’amore di prima? L'amore di prima è segnato da una grazia particolare, ha delle motivazioni forti, ha l’entusiasmo; l’amore di prima è quello del primo sì. Poi c’è l’amore di dopo, disilluso, stanco. Sull’amore di dopo incide il peso dell’abitudine, che spegne e affievolisce l’ardore del cuore, pesa la debolezza delle motivazioni, lo sfocamento del centro su cui si è giocata la vita. Qual è il cammino di conversione che Gesù chiede alla chiesa di Efeso? Il ritorno all’amore di prima, che è disegnato con tre verbi in crescendo e in successione obbligata: “ricordati, ravvediti, fai le opere di prima”. L'appello è accompagnato da un serio avvertimento, nel caso in cui la chiesa non intenda cambiare atteggiamento “rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto”. Il rischio che la chiesa di Efeso corre è quello di allontanarsi definitivamente dalla presenza del Signore e rischia di scomparire. Qui non è in gioco qualcosa di marginale, ma l'identità stessa della chiesa. La comunità di Efeso rischia di trovarsi senza il Signore e di restare priva della sua luce e del suo amore, cioè è destinata a scomparire. È una minaccia che purtroppo si è avverata per molte chiese dell’Asia minore, ma è una possibilità concreta per tutte le chiese di sempre: o la comunità mantiene il suo fervore, o tende a mondanizzarsi e, quando ciò succede, si confonde con il mondo, con il suo modo di fare e di agire e scompare come chiesa del Signore. Compito principale delle 7 chiese nel libro dell'Apocalisse, raffigurante come stelle e candelabri d'oro, è di fare risplendere davanti agli uomini l'amore e la luce che viene da Cristo. La fonte della luce è Cristo. Senza Cristo, non c'è nessuna luce e la chiesa manca al suo scopo, non serve più, può scomparire. Prima della conclusione viene fatto l’elogio alla chiesa perché “detesta le opere dei Nicolaiti” (una forma di gnosticismo o una setta che insegnava la sregolatezza dei costumi). La lettera si conclude con l’appello ad ascoltare ciò che lo Spirito dice. Sette volte risuona nelle lettere l'appello ad ascoltare. L'invito ad ascoltare la voce dello Spirito è ciò che permette alle chiese di mantenere l'adesione al Signore e di testimoniare nel mondo il messaggio del Vangelo. La lettera si conclude con un motivo di fiducia. Il Signore ha fiducia nella sua chiesa. Queste parole non rimandano a un futuro lontano, ma riguardano il presente, a chi vince: a chi vince verrà dato da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.
Alla chiesa di Smirne (2,8-11). Grazie all'attività commerciale del suo porto, Smirne era diventata una città ricca e prospera. Un aspetto singolare della storia di Smirne fu la sua continua rinascita dalle rovine: dopo situazioni di grande calamità, nonostante le distruzioni subite da terremoti, invasioni e guerre, questa città riusciva ad affermare ogni volta la sua vitalità. La città di Smirne nell’antichità era famosa per il culto all’imperatore. Un secondo elemento, per cui Smirne era famosa era perché veniva chiamata la “corona dell’Asia”; probabilmente a causa della bellezza dei suoi edifici. Anche nella lettera indirizzata alla chiesa di Smirne si parla di morte e di vita per descrivere i due aspetti fondamentali che segnano la sua realtà esistenziale. Anche Cristo si presenta alla chiesa come colui che era morto ed è tornato in vita. Alla base del messaggio che viene inviato ai credenti di Smirne c'è la certezza della risurrezione di Gesù, come fondamento della loro fede. Cristo è il vivente, colui che ha vinto la morte, dando la vita per amore di tutti, e ha la capacità di comunicare la sua stessa energia vitale a quanti aderiscono a lui. C'è una insistenza sul realismo della morte, proprio per dire che l’accompagnamento che Cristo esprime nei confronti delle vicende delle persone, del cammino della chiesa è una partecipazione piena, che scende fin dentro i punti più bassi e più enigmatici della nostra vicenda umana. Cristo dice a questa chiesa: “Io ti conosco”. Ti conosco come solo io posso conoscerti; io ti conosco come neppure tu riuscirai a conoscerti. Poi specifica la situazione che la chiesa sta vivendo: la tribolazione. È la pressione che l’ambiente esterno esercita sulla chiesa. Consiste nel fatto che il luogo e il tempo si fanno intolleranti verso la presenza della comunità, esprimendo questa intolleranza e questa repulsione in forme diverse, che possono essere l’emarginazione, l'indifferenza, e arrivare fino all’uccisione. E aggiunge: “Conosco la tua tribolazione e povertà”. È un altro elemento caratteristico di questa chiesa: questa chiesa è povera. Che cosa vuol dire qui “povera”? Probabilmente la comunità era costituita da un piccolo gruppo di persone che sociologicamente non contava nulla. Non c’erano persone importanti, ricche, notabili, che appartenessero a quella chiesa. Erano irrilevanti rispetto alla situazione generale della città; si vive una vicenda di povertà, legata alla piccolezza della chiesa e all’irrilevanza sociale dei suoi membri. E subito aggiunge: “Conosco la tua povertà, ma sei ricca”. Viene subito ribaltato l’alfabeto: il fatto che sei piccola, che sei povera, che non conti, questa è la tua ricchezza! Quello che secondo il mondo è letto come povertà, secondo Dio è ricchezza. Il terzo elemento della vita della chiesa di Smirne, di cui il Signore è a conoscenza, riprende la questione della tribolazione che essa subisce. Le prime persecuzioni contro le comunità furono sollevate dall’istituzione giudaica, che vedeva in esse un pericolo da combattere. Anche nella città di Smirne l'ostilità contro la chiesa è causata dalla sinagoga locale identificata come “quella di Satana”. La persecuzione contro la chiesa di Smirne è opera di quanti si dicono Giudei ma non lo sono, in quanto hanno tradito la loro fedeltà a Dio. Segue poi una esortazione. Cristo dice alla chiesa: “Non temere!”. “Non avere paura” è una espressione che ricorre sovente nella Bibbia. “Ecco, il diavolo getterà alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni”. L’invito a non avere paura rivolto alla chiesa di Smirne è legato al fatto che stanno per venire giorni peggiori. La tribolazione sta per diventare persecuzione. Quella vicenda che sta per colpirvi è una vicenda di dieci giorni, cioè è sotto il controllo di Dio. “Sii fedele fino al la morte e io ti darò la corona della vita”.
Alla chiesa di Pergamo (2,12-17). Pergamo era una delle città più sontuose dell'Asia Minore, al punto di essere paragonata alla stessa Atene per la sua imponente è splendida Agropoli. Nella città di Pergamo era stata inventata la pergamena. Nel 29 a.C. venne eretto un tempio ad Augusto e alla dea Roma, inaugurando così il culto imperiale nella provincia romana di Asia. C'era anche un grande santuario dedicato al dio guaritore Asclepio, che godeva di una grande fama ed era diventato metà dei pellegrini in cerca di guarigione. In un ambiente simile, caratterizzato dallo stile di vita nettamente pagano, era arrivata la proposta liberante del Vangelo, che trovava difficoltà ad essere accolta da alcuni. Per questo i cristiani erano tentati di scendere a compromessi con l'accattivante vivacità della città di Pergamo. Alla comunità di Pergamo Cristo si presenta come colui che ha la spada affilata in mano. Questo tratto distintivo era già stato presentato nella visione inaugurale del Figlio dell'uomo e sarà di nuovo ripreso verso la fine del libro nella figura di Cristo in veste di cavaliere vittorioso. L'Apocalisse ha voluto sottolineare, con l'immagine della spada, la radicalità del messaggio evangelico e la sua forza penetrante. Il Signore paragona la sua parola a una spada preparata per dare tagli netti. La parola del Signore, anche se tagliente e incisiva, non è violenta né sparge sangue, ma è portatrice di vita. Mettendo allo scoperto le contraddizioni interne della chiesa di Pergamo la parola del Signore la guida e la libera, affinché abbandoni quanto impedisce la sua testimonianza, garantendo così la sua crescita e la sua maturazione. I credenti di Pergamo devono sentire la presenza del Signore in mezzo a loro come colui che possiede una parola di vita capace di incidere nella loro esistenza. Accogliere questa parola come spada affilata e confrontarsi con essa, comporterà il superamento di ogni situazione di compromesso o di complicità con le strutture del mondo. Quella città, che è il luogo in cui fioriscono i culti pagani, lì dove l'imperatore riceve onori divini (il culto del potere), è considerato sede del trono di Satana. Possiamo dire che anche noi oggi viviamo a Pergamo, in un mondo e una società dove c'è il culto del potere e del denaro. Nonostante la testimonianza di Antipa e l'impegno della chiesa di vivere con fedeltà, all'interno della comunità si è aperta una falla che mette a rischio la comunione con il Signore. Ci sono alcuni comportamenti che contrastano fortemente con l’insegnamento del Vangelo. Il problema riguarda la vita interna della comunità, dove sta prendendo forza un gruppo di persone che condivide alcuni costumi pagani, come il partecipare ai banchetti religiosi, dove si consumano le carni immolate agli idoli. Il Signore li chiama in un modo che diventano facilmente identificabili: “quelli che professano la dottrina di Balaam”. Tale partecipazione porterà in fondo ad accettare le categorie e ideali di quella società. A chi accetta di sacrificare agli idoli, a chi accetta di sacrificare all’imperatore, toccano dei privilegi dal punto di vista sociale ed economico. Il dare adesione a uno stile di vita, come quello vigente nella città di Pergamo, conduce prima o poi a prostituirsi, cioè a rinnegare i valori del Vangelo. Per i cristiani di Pergamo rimanere fedeli a Dio comportava quindi perdere la possibilità di fare carriera, di avere un ruolo influente in ambito politico e sociale. Il fatto sconcertante è che all'interno della chiesa di Pergamo, l'atteggiamento del gruppo, pronto a scendere a compromessi con il sistema dominante, non sembrava creare alcuna obiezione o critica da parte del resto dei credenti. L'infedeltà o prostituzione, di quanti non volevano rinunciare ai vantaggi di una società potente, non è avvenuto in maniera casuale, ma in base a una ideologia esplicita che giustificava il loro comportamento. I seguaci di questa dottrina, cioè di questo modo di pensare, sono identificati con il gruppo dei Nicolaiti (non si sa con precisione chi fossero costoro), già menzionati nella lettera alla chiesa di Efeso. I Nicolaiti di Pergamo rappresentano un gruppo che proponevano il pieno inserimento della comunità nell'ambiente pagano. L'obiettivo era trovare un compromesso con il mondo dell'epoca, ed entrare così a far parte del tessuto sociale, senza rinunciare al titolo di cristiani, ma neanche ai privilegi che tale inserimento comportava. L'insegnamento dei Nicolaiti era più che attraente. Pergamo è dunque la chiesa del compromesso, dal momento che al suo interno si diffondono modi di pensare che tendono a riprodurre gli stessi meccanismi perversi del mondo. Una chiesa pronta a ogni compromesso col potere, pur di ottenere vantaggi e privilegi, è destinata alla sterilità e alla morte spirituale. L'alleanza trono e altare è sempre stata una tentazione molto forte per la chiesa, alleata normalmente con i più potenti, anziché con i più deboli, sofferenti e poveri. La parola di Gesù “voi non potete servire Dio è Mammona” (il denaro) vale anche per noi oggi.
Alla chiesa di Tiatiri (2,18-29). La città di Tiatiri (o Tiatira) era situata in un crocevia di strade che la rendeva particolarmente adatta per gli scambi commerciali. Piccola ma ricca città. La piccola comunità di Tiatira è la destinataria della più lunga delle sette lettere, e vi si mettono in evidenza i contrasti e le difficoltà interne che quella chiesa viveva. Gesù si presenta come il Figlio di Dio. Questo titolo serve a contestare la pretesa di quanti, in base al potere esercitato sugli altri, si considerano superiori, quasi fossero degli dei. La vitalità della chiesa di Tiatiri è evidente dalle opere che essa compie, e che il Signore elenca con dettaglio, quali l'amore, la fede, il servizio e la costanza. Tra queste il primo posto lo occupa l'amore. Al contrario di ciò che succedeva a Efeso, dove la comunità aveva tradito il primo amore, a Tiatiri si vive l’esperienza dell'amore, quell'amore che procede da Dio e che si rivolge agli altri. È messo in risalto l'operosità dei credenti. Ma non solo, il Signore, conoscendo bene le attività della comunità, constata che le opere sono in aumento, infatti quelle ultime sono più numerose delle prime. Tutto questo è indice di una vita comunitaria effervescente, piena di attività e di progetti. Da un primo approccio sulla chiesa di Tiatiri si ricava una realtà del tutto positiva. È una comunità dinamica che vive in sintonia con il messaggio del Vangelo. Ma dopo una verifica più che favorevole, lo sguardo del Signore, fiammeggiante come fuoco, penetra fino in fondo e mette allo scoperto una zona d'ombra di cui la chiesa non sembra essere al corrente. L'espressione "ho contro di te", ricorrente in quasi tutte le altre lettere, dimostra che non tutto nella chiesa procede bene come dovrebbe. Il problema emerso è che la comunità resta indifferente di fronte a un movimento suscitato da una certa Jezabel o Gezabele, una donna leader che si spaccia per profetessa e che ha un forte ascendente sul gruppo. Il nome di Gezabele richiama alla comunità la storia di Israele. Nella Bibbia Gezabele è il tipo di persona che fa allontanare dalla fede in Dio e induce a servire altri dèi. Gezabele era la sposa fenicia, quindi straniera e pagana, del re Acab, il quale cade nell'idolatria di Baal per colpa di lei. Altrettanto rischia di succedere nella chiesa di Tiatiri. La comunità non si accorge del pericolo di Gezabele: è convinta che nulla ci sia di male nel suo comportamene e la lascia fare liberamente. Nel personaggio di Gezabele si ripresenta il problema dei falsi profeti, i quali devono essere considerati in base ai loro frutti. I frutti di Gezabele sono la prostituzione e il mangiare le carni immolate agli idoli, situazioni già apparse nella comunità di Pergamo, e che riguardavano sia l'adesione alle dinamiche del paganesimo sia la piena condivisione dei suoi valori: potere, prestigio, denaro. La prostituzione, secondo il pensiero biblico, non è altro che l'idolatria, intesa come asservimento al potere e come sostituzione di Dio con gli idoli. Gezabele alimenta il culto verso la sua persona. Il suo insegnamento non è mirato a far crescere la vita della comunità, ma a rendere dipendenti e sottomessi alla sua volontà i suoi componenti; in questo sta la prostituzione e l'inganno. Nella chiesa di Tiatiri la prostituzione di Gezabele, smascherata dallo sguardo penetrante del Signore, non è un fenomeno recente, ma dura da un certo tempo. Nonostante le occasioni propizie che le sono state offerte, affinché si ravveda, Gezabele non ha voluto cambiare atteggiamento. È questo il punto critico della situazione. Quella donna non intende rinunciare alla posizione guadagnata all'interno della comunità. Lei sa che il suo agire, in quanto la innalza e la separa dagli altri, non può essere in sintonia con quanto insegna il messaggio evangelico, tuttavia non vuole smettere di sedurre con dottrine che incitano al culto della sua persona. La sua ostinazione avrà delle conseguenze drammatiche. Sperimenterà la sterilità. Anche i suoi seguaci vedranno la rovina totale, perché si sono dedicati a curare il proprio prestigio e le loro ambizioni personali e con questo si sono svuotati, non sono maturati. Non tutti nella chiesa sono stati conquistati dalla seduzione di Gezabele, né seguono le sue dottrine. Di costoro si dice che non hanno conosciuto le profondità di Satana. La chiesa di Tiatiri ha evidenziato che in una stessa comunità ci possono essere membri sani e membri malati. A tutti Cristo dà tempo per convertirsi e sa pazientare. Il che non vuol dire che tolleri i compromessi. Cristo dice la verità alle sue chiese, ma dà tempo per il ravvedimento. Il cammino procede per tutti in modo faticoso e lento, conosce crisi, ritardi, ricadute. Si vuole una chiesa in cammino non una chiesa perfetta, già arrivata.
Alla chiesa di Sardi (3,1-6). Sardi era stata una delle più antiche e illustri città dell'Asia Minore. Ma del glorioso passato restava solo il ricordo. Nel 17 d. C. un terremoto la rase al suolo e poi fu ricostruita. La tragedia di quel terremoto abbattutosi all'improvviso su Sardi in piena notte è servita per elaborare alcuni aspetti che riguardano la vita della chiesa di quella città, quale invito del Signore ad essere vigilante. Anche le caratteristiche topografiche e urbane di Sardi, con la sua inattaccabile acropoli, l'imponente architettura del tempio di Artemide e la vicina necropoli, aiutano a comprendere in modo più preciso il contenuto della lettera. “Tu credi di essere viva e invece sei morta”. Per il visitatore dell'epoca, il sontuoso santuario di Artemide, e la vivace attività che attorno ad esso ruotava, contrastavano con la fredda quiete della necropoli, luogo di morte. La lettera mette allo scoperto il forte contrasto di una comunità che apparentemente sembra viva, ma al suo interno nasconde la realtà tragica della morte. In un certo senso questa chiesa, riflette quella decadenza che ormai segnava la vita della città. A una chiesa, come quella di Sardi, la cui apparenza esterna non desta alcuna preoccupazione, tanta è la vivacità che essa fa vedere, ma che è colpita al suo interno da una situazione di morte, il Signore si presenta con l'energia di chi possiede la pienezza della vita. È colui che possiede la pienezza della vita, i sette spiriti, e la comunica alle sue comunità, le sette stelle, garantendo la loro vitalità e la loro crescita. Il problema di Sardi è quello di essere una chiesa soltanto di nome, come dimostra la seria verifica delle sue opere. È una chiesa che certamente ha iniziato con entusiasmo il suo cammino, ma che poi non ha perseverato. Il Signore conosce l'agire dei credenti di Sardi: la loro condotta non corrisponde a ciò che esternamente appare. Si tratta di una comunità dove sembra che tutto funzioni, ma che in realtà è priva al suo interno di ciò che la dovrebbe rendere viva. Il Signore disapprova la situazione contraddittoria in cui vive quella chiesa; la vitalità esterna non esprime una realtà interiormente tale, ma serve solo a camuffare il vuoto interno. Tu credi di essere vivo vuol dire: davanti al mondo hai successo e riconoscimenti grandi, e invece sei morto; quella vita che ti era stata donata l’hai sciupata, persa. Si tratta allora anzitutto di rendersi conto di questa situazione, senza nasconderla, senza mascherarla, perché il rischio è proprio quello. Siccome noi viviamo al cospetto del mondo cerchiamo di curare il nostro look, la nostra apparenza; quando davanti al mondo noi riusciamo a cavarcela con un riconoscimento o un applauso, ci sentiamo in qualche modo al sicuro, ci sentiamo realizzati, “ti credi vivo e invece sei morto”. La verifica per vedere se siamo vivi per davvero viene dal confronto con il Signore, con la sua Parola, non da quello che dice il mondo. Ma c’è l’aspetto consolante: questa affermazione non è una specie di pietra tombale che viene messa e che chiude definitivamente la storia, ma il motivo di una esortazione a convertirsi, a ritornare. Svegliati! La parola del Signore sveglia i morti. A Sardi ci si accontenta di vivacchiare, per cui la comunità ha perso la sua identità. A una chiesa che rischia di scomparire viene chiesto di essere vigilante e di rinvigorire quel poco che resta. C’è speranza anche per una chiesa così mal ridotta. Ciò che viene chiesto ai cristiani di Sardi è di rivivere quel primo impatto con il messaggio evangelico e recuperare l'entusiasmo con cui fu accolto nella loro vita. Al "ricordati", seguono il "custodiscila" (la Parola) e il "convertiti". Ricordando la sua esperienza dell'ascolto e dell'accoglienza della buona notizia, capirà il suo bisogno di conversione. Nel caso in cui la chiesa non consideri seriamente la parola che le è stata rivolta, essa corre un grosso rischio: quello di perdere tutto. Ma nella chiesa di Smirne rimane un piccolo resto fedele. La vitalità di questo piccolo gruppo di credenti mette ulteriormente allo scoperto la defezione di quella parte della chiesa che invece di seguire Cristo, mettendo in pratica la sua parola, fa dell’altro. Il contrasto tra la vita apparente della chiesa di Sardi e la sua morte interna che la consuma, si spiega in base al suo allontanamento dalla persona di Cristo e dalla sua parola. È una chiesa fatta di gente religiosa, ma poco credente. Per chi vive la fede solo formalmente, come un insieme di norme da osservare, di pratiche da compiere o di riti da eseguire, l'insegnamento evangelico, prima o poi diventa solo un ostacolo. Questo piccolo resto è chiamato ad essere stimolo di vita per tutta la chiesa di Sardi. Questa chiesa, che vive solo delle apparenze, può recuperare la sua vitalità, se ascolta quanto il Signore le chiede. La chiesa di Sardi viene raffigurata come la chiesa delle apparenze, perché dietro l'immagine attraente che riesce a dare di se stessa, nasconde una realtà sterile. Nonostante questo essa è invitata da Cristo a riscoprire la forza della sua parola, che ravvivi la sua esistenza.
Alla chiesa di Filadelfia (3,7-13). Filadelfia era una piccola città di confine, situata in piena zona vulcanica; era famosa per la frequenza dei suoi violenti terremoti, ma anche per la conseguente fertilità della campagna circostante. Nel 17 d. C. era stata completamente distrutta, come Sardi da un forte terremoto, e poco dopo riedificata, ma non si era più risollevata da quella distruzione. L'importanza di Filadelfia era di natura strategica: era un luogo obbligatorio di passaggio per il commercio. A questa piccola comunità il Signore si rivolge con dei titoli, e delle caratteristiche che non erano apparse nella visione inaugurale: "Il santo, il veritiero, colui che possiede la chiave di Davide". Le chiavi sono simbolo nell'antichità del potere di chi le possiede. Anche se nella lettera non viene specificata quale sia la porta che il Signore può aprire e chiudere. L'autore dell'Apocalisse ha già affermato all'inizio dell'opera che il Cristo possiede le chiavi della dimora dei morti, segno della sua vittoria sulla morte. Il Signore ha il potere di introdurre gli uomini in una vita tale per cui la morte su di loro non ha alcun potere. Questa è una piccola chiesa, priva di quelle caratteristiche appariscenti delle altre chiese precedentemente considerate. Ci troviamo di fronte a una comunità povera, piccola e di campagna. Mentre Efeso, Smirne, Pergamo sono grandi città, e la comunità è una comunità cittadina, Filadelfia è una piccola comunità di campagna che si presenta povera e irrilevante. Da un primo sguardo del Signore sembra che in questa chiesa non ci sia nulla di negativo. Infatti a questa comunità, così com'era già successo per la chiesa di Smirne, non viene chiesto di convertirsi. Le parole che vengono rivolte ai credenti di Filadelfia intendono incoraggiarli e infondere fiducia. Dopo aver presentato il Signore come colui che ha il potere sulla morte e come l'unico che può far entrare nella pienezza di vita, riprende questa immagine ricordando alla chiesa che proprio lui, il Cristo, le ha aperto una porta che nessuno può chiudere. Nel Nuovo Testamento la porta ha quasi sempre un significato di opportunità di predicazione. Nella lettera ai Colossesi Paolo dice: "pregate anche per noi perché Dio ci apre la porta della predicazione" (4,3). Questa è una comunità piccola, e irrilevante dal punto di vista sociale, e debole su quello umano, però si è mantenuta fedele al Signore in un ambiente ostile, dove, come a Smirne, i credenti subiscono gli attacchi della sinagoga di Satana. Una missione è spalancata davanti a questa chiesa. Per quanto sia così piccola, sarà in grado di impegnarsi in una grande impresa missionaria. Adesso le si dice espressamente quello che non è stato detto ad alcun'altra chiesa: le viene annunciato il frutto della missione a cui si dedicherà, ossia che ci saranno coloro i quali si convertiranno. Il vincitore è colui che mantiene saldamente la sua fedeltà al Vangelo.
Alla chiesa di Laodicea (3,14-22). Laodicea era una prestigiosa città situata sulla via principale che collegava Efeso con le regioni orientali e all'incrocio di altre strade secondarie. Tale ubicazione la rendeva un importante nodo commerciale. C'era un'attività importante nel settore tessile e per la lavorazione di unguenti per orecchie e occhi. Nella vicina Gerapoli, a 10 chilometri da Laodicea, le sorgenti di acqua calda attiravano un considerevole flusso di gente per le cure termali. Nella sua ricchezza, Laodicea si illudeva di poter bastare a se stessa. Per alcuni cristiani di Laodicea non doveva essere facile evitare il fascino di un ambiente così ricco e prospero. L'influsso di un elevato stile di vita e l'attrazione per la ricchezza erano così forti, che le parole rivolte a quella comunità sono le più dure fra tutte quelle indirizzate alle sette chiese. Il Signore vede i credenti di Laodicea in uno stato di tiepidezza, situazione fortemente negativa che li porta a una sterile neutralità e a una vita mediocre, -né bene né male- né assenza, né pienezza d'amore. Si tratta di una realtà così inefficace che in questa lettera non vengono elencate le opere della comunità. Il bilancio termina con le più dure parole di tutto il gruppo delle 7 lettere, “sto per vomitarti”. In questa immagine è evidente l'accenno alle acque termali della vicina Gerapoli, le quali fuori dalla sorgente calda diventavano subito tiepide, perdendo così il loro potere terapeutico. La tiepidezza che caratterizza la vita di questa chiesa, rappresenta un comportamento talmente inaccettabile da provocare la nausea. La dura reazione del Signore nei confronti di questa chiesa fa capire che si tratta di un caso di estrema gravità. Il rischio che si corre ricorda quello già apparso nella chiesa di Efeso, la cui eventuale fine era stata indicata con un'altra immagine che esprimeva l'idea di rigetto (rimuovere il candelabro dal suo posto). Non è casuale che tali tristi situazioni siano riferite alle comunità che si vantano sia della propria ortodossia (Efeso) che della propria ricchezza (Laodicea). Entrambe le chiese, nonostante le loro sicurezze dottrinali ed economiche, sono in pericolo di scomparire; la loro mancanza di amore le allontana progressivamente dal Signore. La situazione di tiepidezza causa una visione distorta che la chiesa di Laodicea ha di se stessa, e il Signore pone allo scoperto quello che la comunità crede è quello che di fatto è. La compiacenza con la quale la Chiesa parla di sé la rende ottusa e le impedisce di prendere coscienza del suo stato reale. Se uno non sa di essere ammalato, è in pericolo, perché non si cura. A richiamarla alla dura realtà ci pensa il Signore, che le pone davanti la sua insufficienza e la sua miseria, mostrandole una situazione che suscita la commiserazione anziché l'ammirazione. Si tratta di una situazione di grande precarietà in cui vengono a mancare le vere risorse che le impediscono di essere una vera chiesa. Questi aspetti sono indicati dal Signore con le immagini della cecità e della nudità. La forte contrapposizione tra quello che la chiesa pensa di essere e ciò che veramente è denota la sua infedeltà e il suo progressivo allontanamento dal Signore. La chiesa di Laodicea non ha i difetti gravissimi di altre chiese: di alcune si dice che hanno abbandonato la fede, che rischiano grandi pericoli interni, che hanno molto deviato. Invece la chiesa di Laodicea è una comunità tranquilla, soddisfatta di sé, che presume di essere a posto. “Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”. Chi si crede autosufficiente, si crede arrivato. Questa è la fotografia della comunità di Laodicea: “infelice, miserabile, povera, cieca e nuda”. La lettera a Laodicea è da un punto di vista la più severa, dall’altro punto è la più delicata, la più affettuosa. Di fronte alla tiepidezza (il male peggiore), il rimedio è Gesù stesso. Come a dire: se riconoscerai la tua povertà, la tua tiepidezza e ricorrerai a Gesù, troverai l'aiuto risolutivo. Alla comunità di Laodicea viene chiesto di spostare l'attenzione sulla persona di Cristo, per trovare in lui ciò che le manca. “Ti consiglio di comprare da me oro per diventare ricco, vesti bianche per vestirti e per nascondere la tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista”. Renditi conto di tutto quello che ti manca, vieni a comperarlo da me. Dunque c’è la possibilità di superare la povertà e la cecità spirituale, a condizione che uno comperi dal Signore quello di cui ha bisogno e lo può comperare senza spendere denaro. Anche se l'autore adopera un linguaggio commerciale, l'accento non ricade tanto sul fatto del comperare (non si parla di prezzi), ma sulla decisione di rivolgersi con fiducia al Signore. Non c’è da pagare niente, c’è solo da riconoscere la propria debolezza; c’è solo da riconoscersi mendicanti. La chiesa di Laodicea è oggetto dell'azione pedagogica di Cristo: “Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo”. Questa è la motivazione vera: se Gesù parla così alla comunità di Laodicea non lo fa perché vuole abbatterla; lo fa perché è innamorato di lei e non vuole vederla umiliata e annientata dal male, rosa dal peccato e dalla tiepidezza. Il Signore vuole la sua comunità sana; ha dato la vita perché sia sana e bella e allora tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo, non per la voglia di far soffrire, ma per il desiderio di rendere più belli. “Ecco sto alla porta e bussò”; questo versetto è uno dei più straordinari dell’Apocalisse. A prendere l'iniziativa è sempre il Signore, che vuole fare uscire la chiesa dalla tiepidezza in cui è caduta. A una chiesa che rischia l’allontanamento definitivo dall'unica fonte di vita vengono rivolte le parole più intime e tenere di tutta l'Apocalisse. È bello constatare come proprio alla chiesa di Laodicea Gesù si avvicina con il linguaggio più affettuoso e più personale. Ai credenti di Laodicea che hanno accolto il Signore nella loro vita viene offerto un ulteriore dono: “A chi vince io darò di sedere sul mio trono”.