In mezzo a tanti oracoli contro le nazioni (capitoli 13-23), il libro di Isaia riporta questa invettiva contro un uomo, un ministro che svolge la sua funzione a Gerusalemme. Come dire: il Signore giudica gli imperi, i regni, i popoli, ma anche il singolo uomo corrotto. Egli chiama tutti in giudizio. E ancora, nel capitolo 22, che contiene l’oracolo contro Gerusalemme, si passa dalla città al palazzo del re e a un funzionario del regno. La città è invitata dal profeta al pentimento, ma risponde con totale indifferenza, banchettando e dandosi “alla bella vita”, con baldoria e non curante del giudizio di Dio. In questo contesto di peccato, di immoralità e corruzione, un ruolo importante lo giocano coloro che amministrano la cosa pubblica e sono al potere. È il caso di Sebna, prefetto del palazzo, ufficiale dell’alta corte, con mansioni di funzionario particolare e segretario del re. Questo suo ruolo gli conferisce una posizione seconda solo al re.
Il profeta è incaricato da Dio ad annunciare a Sebna la sua rovina imminente. Sebna è colui che ricopre la carica più importante dopo il re, il sovrintendente del palazzo. Anticamente il ministro (si pensi al visir) aveva la funzione di consigliere del re. Sebna è prefetto del palazzo, segretario del re; è un ufficiale dell’alta corte, con mansioni di funzionario particolare e di segretario. Si tratta di un funzionario corrotto e presuntuoso, forse uno straniero come lascerebbe intendere il suo nome, che vuole governare secondo i suoi disegni e per i propri interessi, e non ascolta le parole del profeta di Dio. Nel seguito del libro di Isaia (36,3.22) e nel secondo libro dei Re (18,18), Sebna, segretario del re, compare assieme a Eliachim, sovrintendente del palazzo, e a Ioa, l’archivista; sembra coinvolto nei negoziati con Sennacherib durante l’assedio di Gerusalemme. Tutti elementi questi che fanno sospettare che ci siano motivi gravi di cattiva politica e compromessi socio-economici.
Il peccato di Sebna consiste nell’essersi “fatto scavare un sepolcro in alto” (22,16). Assicurarsi un sepolcro o mausoleo significa perpetuare in qualche modo il proprio nome, come dire: “Io ci sono e ci sarò anche dopo morto”. Dei popoli antichi pagani, le cose che più si sono conservate e che sono giunte fino a noi sono i sepolcri, i monumenti funerari: pensiamo alle piramidi degli egiziani o alle tombe degli imperatori romani. Questi resti testimoniano la credenza nell’aldilà, ma anche lo stile di vita nell’aldiquà. Assicurarsi un sepolcro fastoso è ancora oggi uno status symbol per affermare la propria condizione sociale ed economica anche dopo la morte: pensiamo ai nostri cimiteri, dove le tombe e le lapidi non sono tutte uguali, o alle cappelle private dei personaggi ricchi e famosi che sono in molti cimiteri. Quello di Sebna, e della gente come lui, è un peccato di superbia e arroganza, fatto da un indegno cortigiano che pensa solo a se stesso in un momento di grave crisi per il paese e il popolo. Il Signore annuncia un suo intervento diretto e designa il successore: Eliachim, figlio di Chilchia. Sebna, quando verrà destituito da Dio, rotolerà come una palla e sarà costretto a vagare in una pianura estesa. Diventerà un uomo senza patria, senza terra, senza onore, senza nome. Colui che voleva assicurarsi il diritto di stare per sempre, anche dopo morto, nella regione montuosa di Giuda, sarà costretto a girare e peregrinare sopra una pianura spaziosa ma deserta e solitaria.
Il nuovo funzionario designato dal Signore “sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda” (22,21). Il re in Israele deve agire a imitazione di Dio. Come il Signore, vero padre d’Israele, ha cura dei suoi figli, così il re e tutti i suoi ministri devono agire per il bene del popolo e amministrare la giustizia onestamente. Il Signore stesso presiederà all’investitura del nuovo prefetto del palazzo e gli darà i simboli dell’amministrazione del potere: la tunica, la cintura e, soprattutto, la chiave della casa di Davide. La stabilità della sua mansione e il successo che avrà dipenderanno da Dio: “Lo pianterò come un chiodo in un luogo solido; egli diverrà un trono di gloria per la casa di suo padre” (22,23). Il chiodo era il piolo che assicurava la tenda al suolo.
Le promesse di Dio cominciano certamente a compiersi con Eliachim, ma non si esauriscono nella sua vita: all’orizzonte storico prossimo dell’oracolo di Isaia si sovrappone l’orizzonte messianico. In Apocalisse 3,7 il potere delle chiavi è attribuito a Gesù Cristo. L’immagine del piolo ben piantato significa che Eliachim sarà un solido fondamento per la casa di Giuda e Gerusalemme. Tuttavia la profezia di Isaia avverte che il chiodo ben piantato non sopporterà il peso e alla fine cadrà anche lui. L’oracolo si conclude con la caduta e l’esilio. Bisognerà attendere il “servo chiamato fedele”.