"Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la ritroverà ". (Matteo 16, 25). Noi non possiamo fare nulla per salvare la nostra vita, o meglio, vivere per l'eternità, ottenere quella eredità che è conservata nei cieli. Nessuna opera meritoria, né alcun merito ci precede, solo una fede ubbidiente e sottomessa, che attesta la nostra condotta o il nostro modo di vivere con Cristo. È la vita in lui che può determinare la nostra salvezza. Chi invece vorrà salvare la propria vita, rinunciando a Cristo, chi vive per realizzare la sua vita senza il Signore Gesù, morirà nel suo peccato, nella sua presunzione, nella sua disperazione. È veramente poca cosa avere la misera consolazione di aver vissuto al meglio i pochi giorni della sua vita terrena. Scrive Giacomo nella sua lettera: "Or il fratello di umili condizioni si glori della sua elevazione, e il ricco del suo abbassamento, perché passerà come un fiore d'erba". (1, 9-10). L' insegnamento della parabola del ricco stolto rimanga per noi una pietra miliare, una indicazione ferma e sicura, non c'è sicurezza alcuna nelle ricchezze e nel successo (Luca 12, 13-21). Sono giuste e vere le parole di Giobbe, dopo aver perso tutto, e sarà sempre bene ricordarle: "Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò. L' Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto. Sia benedetto il nome dell'Eterno". (Giobbe 1, 21).
Se dopo aver conosciuto Gesù Cristo, la grazia e la salvezza ottenuta per mezzo di lui, le nostre aspirazioni rimangono terrene e non spirituali, rischiamo di perdere le sue promesse e di rimanere nel nostro peccato: "Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e avidità, che è idolatria". Ed ancora: "Perché voi siete morti e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio" (Colossesi 3, 5 e 3). Scrive per noi Pietro, nella sua seconda lettera: "Ma noi, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abita la giustizia. Perciò carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili, in pace". (3,13-14). Aspettando queste cose, la nostra attenzione, la nostra cura sia rivolta nell'attesa del Signore; vogliamo partire via da questo mondo, perché noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia di Dio.
La nostra confessione di fede, se crediamo in queste Scritture come parola di Dio e dunque degne di fede, ci fa essere parte di quella schiera di forestieri e pellegrini che cercano una patria, una patria migliore, quella celeste. Leggere tutto il capitolo 11 della lettera agli Ebrei. L'apostolo Paolo infatti vuole trasmetterci questa certezza e questa speranza, nella quale facciamo bene a stare ben saldi: "Sappiamo infatti che se questa tenda, che è la nostra abitazione terrena, viene disfatta, noi abbiamo da parte di Dio un edificio, un'abitazione non fatta da mano d'uomo eterna nei cieli. Poiché in questa tenda noi gemiamo, desiderando di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Noi infatti che siamo in questa tenda gemiamo, essendo aggravati, e perciò non desideriamo già di essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. Or colui che ci ha formati proprio per questo è Dio, il quale ci ha anche dato la caparra dello Spirito. Noi dunque abbiamo sempre fiducia e sappiamo che mentre dimoriamo nel corpo, siamo lontani dal Signore. Camminiamo infatti per fede, e non per visione. Ma siamo fiduciosi e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore". (2 Corinzi 5, 1-8).
Il senso della vita, dunque, non è in questa vita di peccato, ma nella vita con Gesù. Il Signore ci conceda questa grande benedizione. Amen!