Non capirà mai fino in fondo che il Vangelo di Cristo è buona e lieta notizia chi non comprende che la sequela di Gesù è il centuplo: non una fatica per raggiungere un premio, ma una pienezza di vita; non una vita fatta di continue rinunce e di amari rimpianti, ma una vita piena ed esuberante; non una mortificazione del corpo, ma un ristoro dell’anima, dello spirito e del corpo; non una partecipazione ad un funerale, ma ad una festa di nozze; non una morte, ma una nascita; non una tragedia, ma una gioia infinita. Pietro, dopo che il giovane ricco va via, dice a Gesù a nome dei dodici: “Noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito”; e poi gli domanda: “Che cosa ne avremo?” (Matteo 19,25-27). Gesù risponde promettendo la vita eterna e il centuplo di tutto (Matteo 14,28-29). Quando Levi o Matteo, autore del nostro vangelo, incontra Gesù e riceve la chiamata alla sequela, lascia ogni cosa, rinuncia a tutto, e fa una festa a casa sua, alla quale invita tutti i suoi amici.
Il Signore non vuole e non chiede la rinuncia a ciò che di bello e di buono c’è in questo mondo, ma il distacco dalle cose vane e apparenti; il rifiuto del peccato e dei piaceri peccaminosi del mondo; la rinuncia a tutte quelle cose che Paolo definisce “spazzatura”. Solo chi si affida a Gesù sa cogliere il valore e la bellezza delle cose della vita e può godere del mondo. Godere della comunione con Dio è il bene più grande che si possa avere in questa vita. Certo, la sequela esige distacco radicale, scelte impegnative, rinunce, a volte dolorose: ma tutto ciò si fa per avere il meglio (vita abbondante), non il peggio. La radicalità della sequela è per il nostro bene, per un amore più grande e duraturo. Il discepolo lascia perché ha trovato, come l’uomo della parabola, che liberamente e con gioia vende tutti i suoi averi per entrare in possesso di un tesoro. Il discepolo vende tutto per acquistare ciò che veramente ha valore, come il mercante che ha trovato la perla di grande valore.
Queste due brevi parabole, per molti aspetti simili ma non identiche, evocano la realtà inaudita del regno dei cieli. Una realtà misteriosa, eccelsa, che possiamo accostare solo attraverso similitudini, perché non cade sotto la nostra esperienza diretta. Eppure, a ben guardare, le due parabole di Gesù parlano più dell’atteggiamento di chi sperimenta l’avvento del regno nella sua vita che del regno stesso; più dell’uomo che trova il tesoro che del tesoro stesso; più della passione del mercante in cerca di perle che della perla di valore che ha trovato. Le due brevi parabole ci dicono che il regno dei cieli è una esperienza di gioia, di felicità immensa, che riempie e sazia tutto il nostro essere. È una esperienza talmente bella che riempie tutta la nostra vita e sopravanza ogni nostro desiderio. Dopo una vita di ricerca e di affanni, finalmente la grazia di scoprire il regno dei cieli. Tutti i nostri averi e possedimenti diventano un nulla di fronte all’inestimabile valore della scoperta.
A noi le parabole sono giunte in un testo scritto, che è il vangelo di Matteo, e questo ci permette di studiarle anche tenendo conto della forma letteraria. Lo schema letterario dei due racconti forma una specie di dittico, senza che però la costruzione simmetrica annulli l’autonomia dei due quadri. Le corrispondenze sono evidenti nella ripetizione di tre verbi: “trovare”, “vendere”, “comprare”, che immettono nel movimento generato dall’apparire del regno. Le variazioni riguardano alcuni punti o particolari: il primo personaggio trova il tesoro per caso, il secondo scopre la perla dopo una accurata ricerca; nel primo caso la gioia dell’uomo che trova il tesoro nel campo e lo nasconde di nuovo; nel secondo la presentazione introduttiva del mercante che anticipa la scoperta della perla. Entrambe le immagini, del tesoro e della perla preziosa, sono tipiche della tradizione sapienziale per designare il valore incomparabile della sapienza (Proverbi 2,4; 3,14; 8,18-19.21; Giobbe 28,15-18). Il punto culminante delle due parabole matteane, tuttavia, non è la scoperta del tesoro o della perla, ma la decisione che, subito, prendono i due protagonisti (il viandante e il mercante) di vendere tutto quello che possiedono per ottenere quello che hanno trovato.
Se mettiamo a confronto le due parabole con le sentenze evangeliche in cui Gesù chiede una scelta decisiva e radicale di fronte al regno di Dio (come quella fatta dai dodici discepoli che lasciano tutto per seguirlo) notiamo lo spostamento dal piano sapienziale a quello rivelativo. Il regno è misterioso e nascosto, ma entra nella nostra vita e la riempie di una gioia immensa. Occorre rendersene conto, e afferrare questa possibilità. Bisogna fare come chi trova il tesoro e la perla e accogliere con gioia la realtà del regno, che sopravanza sempre infinitamente ogni cosa e cambia la nostra vita.