I capitoli 1-7 parlano d’Israele sotto la guida di Samuele, i capitoli 8-15 narrano come si istaura la monarchia. Dopo la battaglia di Eben-Ezer, Israele è contento di seguire Samuele. Quando però egli diventa vecchio e i figli amministrano male la giustizia, il popolo chiede di avere un re. Cercare in un re la guida e il bene della nazione significa non fidarsi di Dio, che guida il suo popolo servendosi di giudici come Samuele. Il capitolo contiene pure un rovesciamento di paradigma: non più grido-risposta (capitolo 7), bensì: “grido-non risposta; “voi griderete, ma il Signore non vi risponderà”. Il ruolo di Samuele che appare nel racconto è paragonabile a quello di Mosè: egli entra in dialogo con Dio come nessuno ha più fatto dai tempi di Mosè.
8,1-3. “Quando Samuele divenne vecchio”: passa un lungo periodo di tempo tra il capitolo 7 e l’8. Beer-Sceba si trova alla estremità meridionale del paese, la sua menzione attira l’attenzione sulla ampiezza della influenza di Samuele. I suoi figli, Ioel (primogenito) e Abia, avidi di guadagno, sono giudici anch’essi, ma amministrano male la giustizia: accettano tangenti, violando così la Torah (Esodo 23,6-8; Deuteronomio 16,18-20). Essi violano il principio su cui si fonda in Israele la giustizia: uguale per tutti, senza privilegi né preferenze. Questa colpa è denunciata dai profeti (Isaia 5,23; Amos 5,12). La frequente incapacità dei successori umani è un tema ricorrente nei libri storici dell’Antico Testamento, da Gedeone fino ai discendenti di Davide. Il fallimento dei figli di Samuele ricorda quello dei figli di Eli. I primi pervertono il culto, i secondi la giustizia. Samuele non dice una parola contro i suoi figli, ma la sua condanna si può cogliere nella voce del narratore.
8,4-5. La richiesta di un re, fatta a Samuele, viene messa in relazione alla mancanza di una guida stabile. Il dialogo tra Samuele, il popolo e il Signore: gli anziani propongono una nuova modalità del potere per far fronte alla minaccia dei filistei. Vogliono un re “come lo hanno tutte le nazioni”; ma Israele non è e non deve essere come le altre nazioni. Anche se può sembrare ragionevole, di fatto equivale a un rifiuto di avere Dio come re. Cercare nel governo di un re la guida e il bene della nazione significa non fidarsi di Dio, che guida il suo popolo servendosi di giudici. La differenza tra un giudice e un re sta nella continuità: i re stabiliscono delle dinastie. Dare un re a Israele è nelle intenzioni di Dio (Deuteronomio 17,14-20), ma nel tempo opportuno e non per questi motivi.
8,6-9. Samuele è dispiaciuto e allarmato per una simile richiesta. La risposta di Dio: da un lato critica la richiesta di un re (“non hanno respinto te, ma me”); dall’altro ordina comunque a Samuele di assecondare la richiesta, rendendo però noti gli aspetti negativi della monarchia. Fin dall’Egitto, dice Dio, il desiderio del popolo è una ripetuta idolatria, un andare dietro ad altri dèi. “Il diritto (o il modo di agire) del re” è il codice che regola diritti e doveri fra re e popolo, ma che nelle monarchie orientali regola soprattutto i diritti del sovrano. Di tale diritti nei versetti 11-12 si stabiliscono i punti essenziali allo scopo, se è possibile, di stornare il popolo dall’insistere.
8,10-18. Il verbo dominante con cui viene caratterizza la monarchia è: “prendere”, usato qui ben sei volte. Il risultato finale di questo prendere è: “sarete schiavi” (il contrario dell’esodo). Le spese di una reggia e il lusso rendono necessari tanti balzelli e confische. Salomone è il prototipo descritto in questi versetti. La monarchia porta a una concentrazione della ricchezza, al monopolio del controllo delle terre, all’azzeramento delle iniziative locali. Il Signore dice a Samuele di ascoltarli e anche di avvertili sugli aspetti negativi della monarchia. Essi avranno il loro re, ma udranno da Samuele qual è il modo di agire del re. Non potranno dire di non sapere. Alla fine Dio non si oppone alla richiesta di un re; non approva, ma non impedisce. La monarchia è consentita. Il problema della monarchia è teologico, non politico: non è espressione del rifiuto di Samuele (o di un vecchio sistema di potere ormai obsoleto e superato), ma del rifiuto di Dio. La storia di Israele fuori dall’Egitto è una storia di continui abbandoni, è un andare dietro ad altri dèi.
8,19-22. Il monito di Dio e di Samuele non è ascoltato dal popolo, che dice: “No, ci sarà un re su di noi; noi saremo come tutte le nazioni; il nostro re amministrerà la giustizia e combatterà le nostre guerre”. Con queste parole il popolo si emancipa da Dio. Quando la monarchia fallirà, come con Saul e con tanti altri re d’Israele, allora molti capiranno che il re non dà sicurezza, ma prende; non difende dai nemici, ma fa “correre i vostri figli davanti al suo carro”.