Il capitolo 10 del vangelo di Matteo, da dove abbiamo ritagliato questi pochi versetti, contiene il mandato e le istruzioni di Gesù sulla missione. Nella missione affidata agli apostoli di annunciare la buona notizia, guarire i malati, mondare i lebbrosi, risuscitare i morti, liberare gli uomini posseduti da spiriti immondi, la presenza del regno di Dio si fa prossima alla gente. È un’attività per la vita, che reca vita a tutti coloro che accolgono la parola degli inviati del Signore. Gesù invia inizialmente i suoi discepoli “alle pecore perdute della casa d’Israele”, ma sono gli stessi che in seguito, dopo la sua risurrezione, per le strade del mondo trasmetteranno con gratuità ciò che loro stessi come dono gratuito hanno ricevuto dal Cristo.
“Gesù, vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (9,36). Il fatto di vederle stanche e sfinite è la motivazione che fa dire a Gesù che le folle sono senza pastore, e dunque la preghiera al Padre che invii degli operai. In realtà di “pastori” che guidano il popolo d’Israele ce ne sono, e in grande quantità: i romani governano politicamente la regione con mano ferma; il sinedrio di Gerusalemme è l’autorità religiosa che ha il controllo su tutto; i sacerdoti, gli scribi e i farisei sono le guide spirituali. Il popolo è ben inquadrato dal punto di vista politico e religioso, ma questo è un potere che affatica, stanca e indebolisce, e questi pastori non si curano del bene delle persone. Gesù vede la condizione delle folle, i loro bisogni, e chiama dodici dei suoi discepoli, li manda in missione e dà loro un altro potere: non per affaticare, ma per liberare le persone dallo spirito del male; non per indebolire, ma per curare i corpi sofferenti, malati; non per dominare e signoreggiare, ma per annunciare la buona notizia. La capacità dei dodici di compiere la missione, di dire il Vangelo ed esercitare il potere di liberazione, è un dono ricevuto da Gesù, non una capacità innata dei discepoli, e neppure il risultato di una preparazione intellettuale, o il frutto di un’esperienza, o l’esito di un’ascesi. Matteo riporta l’elenco dei dodici inviati, nome dopo nome. Gesù non sceglie i più illuminati tra il popolo d’Israele, i più santi tra i sacerdoti, i più sapienti tra gli scribi, i più giusti tra i farisei. Gesù sceglie invece gente semplice, persone prese dalla periferia del paese. Fra loro vi sono dei pescatori della Galilea; un pubblicano, strozzino e collaborazionista; uno zelota, estremista e terrorista. Non sono gente ricca né acculturata: la loro istruzione non va oltre l’insegnamento ricevuto nelle scuole dei villaggi e nelle sinagoghe. Tutti però sono ora al seguito del Maestro di Nazareth. Gesù non chiama i virtuosi, gli integerrimi, i moralmente ineccepibili, dalla vita immacolata e dalla fedina penale pulita. Gesù sceglie persone del tutto estranee al potere politico e religioso, che non frequentano palazzi e cancellerie vescovili. Gesù chiama uomini che provengono da quella folla stanca e sfinita, sceglie i suoi inviati tra coloro ai quali li invia: gli inviati vivono la stessa vita dei destinatari della loro missione, parlano la loro lingua, conoscono dall’interno i loro bisogni, le loro attese, le loro speranze.
Gesù dice ai suoi di “andare”, non di starsene seduti comodamente, aspettando che qualcosa accada. Non manda i suoi a predicare che “il regno dei cieli è vicino” senza dare loro delle istruzioni, per guidarli, orientarli e custodirli. Gli inviati devono essere liberi dal denaro, perché l’efficacia della missione non deriva dalle risorse economiche di cui dispongono. Non borse per accumulare, perché non devono ricevere né dare oro e argento alla gente, ma predicare e operare nel nome di Gesù il Nazareno. Nessuno strumento di viaggio: non i sandali, perché a rendere sicuri e svelti i loro passi è la fede in Gesù Cristo e la passione per il Vangelo. Non il bastone, perché il compagno di viaggio è il bastone al quale appoggiarsi nei giorni di fatica. Gli inviati devono guarire chi è malato, curare chi soffre, risuscitare i morti, liberare chi è posseduto, annunciare la salvezza ai peccatori. E nel fare ciò essi dispongono della potenza del Signore. Per purificare i lebbrosi devono odiare ogni forma di esclusione e avere il coraggio di toccare la carne infetta, come fa Gesù con i lebbrosi; per scacciare i demoni devono affidarsi unicamente alla potenza di Dio, senza perdersi nelle discussioni e restare impantanati nei fallimenti. Compiere la missione significa semplicemente fidarsi di Gesù e dare seguito al suo mandato: non occorre una politica di cambiamento, ma un risveglio di responsabilità; non un dispiegamento di forze e mezzi, ma un coinvolgimento personale senza alcuna riserva; non strategie umane o logiche aziendali, ma fiducia nella potenza del Vangelo.