In questo contesto il profeta è vittima di tensioni politiche. Il partito della resistenza, costituito da chi è contrario a Geremia e che si oppone al suo carisma e predicazione profetica, si mobilita: quattro tra i rappresentanti più influenti, appoggiati da altri, tramano contro di lui per toglierlo di mezzo. Il motivo? Geremia pure dall’atrio della prigione dove è rinchiuso, presso la porta della città, continua a insistere con i passanti dicendo che sono ormai impossibili e non risolverebbero nulla gli aiuti e le rivincite militari, e che invece bisogna arrendersi ai Caldei, per avere salva la vita e pensare al dopo. È questo oracolo di Geremia, pronunciato in precedenza, che dà l’incipit alla contesa: “Colui che rimarrà in questa città morirà di spada, di fame o di peste; ma chi ne uscirà per arrendersi ai Caldei che vi assediano vivrà, e avrà la vita come suo bottino. Io infatti volgo la mia faccia contro questa città per farle del male e non del bene, dice il Signore; essa sarà data in mano al re di Babilonia, ed egli la darà alle fiamme” (21,9-10). Quello indicato da Dio in queste parole è un programma di resa, non di resistenza. Per questo i capi lo accusano di disfattismo e di tradimento e tentano di farlo tacere, gettandolo in una cisterna fangosa dove sarebbe certamente morto. Geremia però non è un simpatizzante dei babilonesi né un politico, ma un profeta che parla a nome di Dio, e un profondo lettore dei segni dei tempi per i suoi contemporanei. Si preoccupa di salvare l’identità e la sopravvivenza di quanti vogliono ubbidire a Dio. È un vero profeta. Contro i falsi profeti, facili in grandiose promesse nell’immediato ma incapaci di guardare lontano negli avvenimenti, Geremia pronuncia quest’oracolo: “Sono io forse Dio solo da vicino e non anche Dio da lontano?” (23,23). Un monito sempre attuale, che non può fermarsi a una religiosità esteriore e superficiale, spicciola, che accarezza il tutto e subito. Il cammino con Dio ha lunghe scadenze, durante le quali bisogna prepararsi a piantare e a edificare, dopo le distruzioni e gli sradicamenti. La fede non è un sentimento superficiale e momentaneo, ma un impegno a camminare con Dio, da quando egli plasma il nostro essere come un vasaio nel seno materno (1,5) fino alle mete previste da lui in questa vita, pur attraverso ogni sorta di prove, e quella futura.
I ministri o capi ostili, determinati a sbarazzarsi di un tale profeta ingombrante, pensano che la loro parola, e non quella profetica di Geremia, debba stabilire in che cosa consista il bene del popolo; e pensano che per evitare la sciagura di tutto il popolo sia meglio sacrificare un solo uomo. Il motivo che adottano, nel tentativo di far fuori Geremia, è apparentemente nobile perché riguarda il “bene pubblico”. In realtà la loro decisione è la rovina d’Israele. Il re Sedechia non ha la forza di opporsi ai suoi ministri, perché capisce che loro rappresentano il partito che ha più potere. Anziché ricercare la volontà di Dio, cede alle pressioni politiche dei più forti. Geremia viene preso e gettato in una cisterna piena di fango, dove rischia di morire. È gente che non vuol né sentire né ascoltare la voce del profeta e cerca in tutti i modi di farla tacere: con la prigione, la cisterna, la deportazione forzata in Egitto. È a questo punto che la voce di Geremia, che vuole salvare il popolo dalla rovina e dalla deportazione, si sente sempre di meno, mentre viene condotto in Egitto, allontanato dalla sua terra. Gli uomini possono liberarsi dei profeti ma non di Dio: Israele pagherà un caro prezzo per non aver voluto arrendersi ai Caldei, e prima ancora a Dio. I ministri del re sono chiusi nella antipatia verso i babilonesi e simpatia verso gli egiziani, per i loro interessi politici ed economici. Sedechia è un re che tentenna, con una volontà debole, senza una chiara politica, senza una vera fede. Ha qualche scrupolo di coscienza: ecco perché interpella segretamente e pieno di paura Geremia. In politica subisce totalmente le imposizioni dei suoi collaboratori filoegiziani.
Il comportamento delle persone intorno a Geremia non va oltre l’immediato. È positivo solo quello di uno straniero, un etiope di nome Ebed-Melek. È significativo che sia uno straniero, influente nel palazzo e di facile accesso al re, a intervenire a favore di Geremia. Non conosciamo le motivazioni che lo spingono ad agire, non sappiamo se il suo sia un intervento limitato al solo senso di pietà o se via sia qualcosa di più, certo è che con la sua richiesta salva la vita a Geremia.
Per le sue vicende profetiche Geremia prefigura Gesù Cristo, e le persone che si muovono attorno a lui sono simili ai personaggi dei vangeli che circondano Gesù. Questa vicenda offre pure importanti spunti per capire questioni politiche e verificare il comportamento di certi credenti di oggi.