"Ed ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. (Filippesi 1,6). L'apostolo Paolo, scrivendo la sua lettera ai cristiani di Roma, non usa mezzi termini per descrivere la malvagità e la stoltezza nel cuore dell'uomo; difatti così leggiamo nel capitolo 1 della Lettera ai Romani, versetti 28-31: "Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balia della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati , sleali, senza affetti naturali, spietati". Se dovessimo aggiungere altri peccati a questo elenco, credo che potremmo scrivere dei libri interi. Purtroppo l'uomo è tutto questo e altro ancora.
Il dramma dell'uomo comincia dal fatto che "non si sono curati di conoscere Dio". Persino l'apostolo, nel descrivere la triste condizione umana, confessa di non esserne escluso, dunque l'umanità è incatenata nel suo stesso peccato. "Me infelice", dice Paolo, "chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore". (Romani 7,24-25). Dio ci fa grazia da quella condanna di morte, attraverso Cristo Gesù, perché Gesù ci libera "da questo corpo di morte".
Dio dunque, per mezzo di Gesù, ha compiuto a favore dell'umanità intera la nostra salvezza. Ed è nell’opera di salvezza di Dio, ovvero in Gesù Cristo, che noi dobbiamo porre la nostra fiducia. Soltanto in lui la nostra speranza non si spegne. Conserviamo allora nel nostro cuore quest’ultima parola di esortazione che Gesù ci rivolge nell’ultimo libro della Bibbia: "Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona". (Apocalisse 3,11).