Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il presente articolo è tratto dalla parabola de Il fariseo e l’agente delle tasse (Luca 18,9-14) di Fausto Salvoni (1907-1982). I vocaboli ebraici, i testi biblici, le note riportate in parentesi e alcune piccolissime parti mancanti nel manoscritto, sono stati aggiunti da Paolo Mirabelli, che ne ha curato la revisione. La trascrizione dei testi e l’impaginazione è stata fatta da Cesare Bruno e Roberto Borghini.


Di solito i vangeli dipingono i farisei, vale a dire gli “appartati”, i “separati” (i farisei derivano il loro nome dalla radice verbale parash, che significa separare, dividere), nella loro parte più cattiva qualificata da tre vizi principali: cupidigia, ipocrisia e vanagloria.


La cupidigia si palesava specialmente verso le vedove che possedevano un piccolo patrimonio, le quali avevano spesso bisogno di ricorrere al consiglio di abili avvocati per difendersi dai parenti o dai creditori del marito defunto. Nessuno era più adatto degli scribi (molti dei quali appartenevano alla setta dei farisei) versatissimi nelle innumerevoli prescrizioni scritte e orali della legge, ma anche così sottili che spesso inghiottivano loro stessi quei patrimoni che si volevano salvare da parenti troppo rapaci (cfr. Marco 7,9-13). Chi avrebbe intentato causa contro di loro per proteggere le vedove e gli orfani?


La loro vanità si palesava nelle vesti sgargianti e lussuose con le quali i farisei si pavoneggiavano, fieri dei colori e delle lunghe frange che ne ornavano i mantelli (cfr. Matteo 23). La gente si inchinava al loro passaggio, cedevano loro i posti privilegiati nelle sinagoghe, più elevati degli altri, perché tutti li potessero vedere. Pregavano pubblicamente, si segnavano il volto per mostrare che essi digiunavano, facevano le offerte nella cassa del tempio in modo che tutti sapessero quanto essi davano (cfr. Matteo 6). Di qua l’avvertimento di Gesù: “Non sappia la destra quanto fa la sinistra!”  (Matteo 6,3).


L’ipocrisia appariva nelle loro preghiere prive di vera spiritualità, nel fatto che, con la scusa di onorare Dio, gli offrivano il denaro posseduto, ma lasciavano morire di stenti i propri genitori, con la scusa che il denaro deposto nel tempio non lo dovevano toccare (cfr. Matteo 15). Gesù: “Guardatevi dal lievito dei farisei che è ipocrisia” (Luca 12,1). Naturalmente non tutti erano così, tant’è vero che alcuni di loro erano capaci di una feroce autocritica, come appare dalla stessa letteratura rabbinica, nella quale si parla di sette tipi di farisei, dei quali solo gli ultimi due, che agiscono per timore o per amore di Dio, sono degni di lode. Nonostante le sue critiche, Gesù era ben visto dai farisei, che in genere si astennero dalla sua condanna a morte (anche se alcuni vi parteciparono, come risulta da Giovanni); gli erano talvolta anche amici e lo invitavano a pranzo; con Gamaliele presero perfino le difese dei primi cristiani (Atti 5,33-39). Straordinario il loro zelo per la legge, (ed) anche (ai) i molti precetti (e tradizioni degli antichi) aggiunti ad essa. Gli ebrei (secondo il Talmud) contavano 613 mitzvot nella legge (di Mosè o Torah): 248 precetti negativi (secondo la tradizione rabbinica era il numero delle ossa del corpo umano) e 365 positivi (uno per ciascun giorno dell’anno).


Erano dettati dal desiderio di prevenire ogni azione che inconsciamente inducesse alla trasgressione della legge mosaica. Nel loro zelo qualcuno giungeva perfino a interdire l’uso di un uovo che la gallina avesse deposto in giorno di sabato, violando in tal modo il riposo sabatico. Per tale motivo erano assai stimati dalla gente, che cedeva loro il passo per le strade e il primo posto nelle riunioni.


Giuseppe Flavio (storico ebreo del I secolo) ne parla in modo lusinghiero: “Tra gli ebrei, i farisei sono quelli che hanno fama di essere i più pii e di intendere la legge nel modo più esatto”. Il che senza dubbio è vero; ma la loro eccessiva austerità, il loro puntiglio, il disprezzo della “gente del volgo” (‘am ha’ arez) portava agli eccessi biasimati da Gesù.


Poggiando sul fatto in sé che la giustizia sta nel compimento della legge, in tal senso nel vangelo erano chiamati giusti: Giuseppe, padre putativo di Gesù, e Zaccaria ed Elisabetta, i genitori di Giovanni Battista.  Per la corrente farisaica tale “osservanza” o “giustizia” costituiva un titolo per esigere da Dio le benedizioni promesse, forzando il pensiero del Deuteronomio che Dio ricompensa con le sue benedizioni chi osserva i precetti divini. Ne nacque una specie di automatismo: “Ti do perché tu mi dia” (do ut des). Basta osservare i precetti alla lettera (e le tradizioni dei padri), perché uno si senta spiritualmente a posto. Da qui il trionfo del legalismo, duramente combattuto dai profeti, per i quali a nulla valgono le preghiere e i digiuni (e i sacrifici) se non sono accompagnati da sentimenti interiori (da una vera conversione del cuore): “Preferisco la misericordia”, dice Dio, “al sacrificio” (Osea 6,6).

Fausto Salvoni

21 febbraio 2018

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.