Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Dopo il secondo censimento, che include la nuova generazione e non più quella uscita dall’Egitto, il libro dei Numeri racconta il caso delle cinque figlie di Selofead (Tselofehad), che reclamano la loro parte di eredità nella terra di Canaan, e l’episodio di Giosuè, che viene indicato come successore di Mosè (capitolo 27). Già nel Medioevo Rashi, un commentatore ebreo, si chiedeva quale relazione ci fosse tra i due episodi: perché l’indicazione di Giosuè come colui che dovrà succedere a Mosè segua immediatamente dopo il caso delle cinque figlie di Selofead? Il motivo sarebbe da ricercare nelle parole dette da Dio a Mosè: “Tu darai loro in eredità una proprietà” (27,7). Mosè avrebbe frainteso queste parole, pensando che Dio gli concedesse di entrare in Canaan. E l’episodio di Giosuè sarebbe stato collocato in questo contesto come risposta di Dio a Mosè: tu non entrerai nella terra promessa. Questo commento ha forse una sua logica, più psicologica che esegetica, ma la tesi del fraintendimento non spiega il dato biblico e il vero nesso tra i due episodi.


Nel censimento riportato nel capitolo 26 del libro di Numeri compaiono per la prima volta le cinque figlie di Selofead (26,33). I loro nomi sono: Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa. Esse sono menzionate nel censimento perché costituiscono un caso giudiziario nuovo, un “vuoto legislativo” da colmare. La terra di Canaan va divisa tra le varie famiglie dei figli d’Israele (26,52-54), ma che fare nel caso in cui un uomo che ne ha diritto muoia senza lasciare figli maschi? E questo è proprio il caso che si presenta in Numeri 27: Selofead non ha eredi maschi, ma solo femmine. Le figlie di Selofead si presentano da Mosè perché non vogliono che il nome del loro padre, che non è stato un ribelle della gente di Core, scompaia in Israele (27,4). Mosè non sa come risolvere il caso, non c’è una norma a cui appellarsi, perciò lo rimette nelle mani di Dio, che decide a favore delle cinque figlie (27,7). Il fatto qui narrato fa dire ad alcuni che tutto ciò costituisca “un modello creativo della tradizione”, il che significa una reinterpretazione del passato in favore del nuovo, un adattamento della tradizione  nel presente . Finché si parla di tradizioni umane, nulla in contrario. Ma non si può estendere questo paradigma alla Torah (alla Legge). Il presupposto che la Legge di Mosè vada  aggiornata di volta in volta alle nuove esigenze che si presentano è privo di fondamento biblico. Primo: perché trasforma un caso legale in scelte soggettive. Nemmeno la nostra mentalità moderna chiede che di fronte ad un caso di eredità si adotti un “modello creativo”: vogliamo che si applichi la legge. Secondo: la legislazione mosaica non è stata data tutta per intero al Sinai: durante il cammino Mosè si trova ad affrontare casi nuovi, come quello del violatore del sabato (15,32-36) o questo sulla successione, ripreso poi nel capitolo 36. Si passa così dal diritto apodittico alla casistica. Terzo: il caso delle figlie di Selofead produce una “norma di diritto” (27,11). Quarto: quando Giosuè, dopo la conquista del paese, distribuisce la terra alle famiglie d’Israele, assegna alle cinque figlie di Selofead la parte a loro spettante secondo le prescrizioni di Mosè e l’ordine del Signore (Giosuè 17,3-4).


A Mosè viene concesso da Dio di vedere la terra promessa ma non di entravi, a motivo del peccato commesso nel deserto di Sin (27,12-14). Aronne è morto senza vedere Canaan. Poiché la morte di Mosè è prossima, c’è bisogno di uno che guidi i figli d’Israele nella terra promessa. Mosè implora il “Dio che dà lo spirito ad ogni creatura” (espressione che si trova solo qui e in 16,22) di costituire una guida che vada davanti a loro e li faccia uscire ed entrare, affinché la comunità non sia come un gregge senza pastore (27,15-17). Non si può chiedere di meglio! La scelta di Dio cade su Giosuè: “Prendi Giosuè, uomo in cui è lo Spirito” (27,18); uno dei dodici esploratori di Canaan (Numeri 13 e 14). Dopo il nuovo sommo sacerdote Eleazar, che prende il posto di Aronne, Giosuè è il nuovo condottiero che succede a Mosè. Nella Bibbia i “capi carismatici” non trasmettono la loro funzione ai figli, cosa che oggi accade sempre più spesso nelle chiese, dove i ministeri si trasmettono da padre in figlio, non più per vocazione ma per parentela. Giosuè riceve l’autorità di Mosè con l’imposizione delle mani (27,18). A Mosè il Signore ha parlato faccia a faccia, a tu per tu, in modo diretto e senza intermediari (12,6-8). A Giosuè parlerà tramite il sommo sacerdote Eleazar, con il giudizio dell’urim e tummim (27,21). Con la morte di Mosè finisce una epoca: quella in cui Mosè riferisce al popolo le parole di Dio che ha ascoltato. La guida di Giosuè si baserà sull’osservanza della Torah data da Dio a Mosè (Giosuè 1,7-8).

Paolo Mirabelli

10 ottobre 2017

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