Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Jochanan ben Zakkaj (traslitterato: Giovanni figlio di Zaccheo), rabbino ebreo contemporaneo degli apostoli di Gesù Cristo, secondo il Talmud morì verso la fine del I secolo. Di lui si raccontano diverse cose, alcune però non trovano un riscontro storico. Durante l’assedio di Gerusalemme, egli propose che la città si arrendesse ai romani, al generale Vespasiano, ma gli zeloti erano contrari. E così dopo essere stata assediata, nel 70 dopo Cristo, Gerusalemme cadde e il tempio di Erode (il secondo tempio) fu distrutto dai romani. L’Arco di Tito eretto a Roma, con i soldati romani che trasportano la menorah sulle spalle, ancora oggi ne commemora la distruzione.


Durante l’assedio di Gerusalemme, un tempo drammatico per la storia e il culto d’Israele, quando rabbi Jochanan ben Zakkaj si rese conto che ormai era troppo tardi per trattare la resa, poiché il tempio e Gerusalemme stavano per essere distrutti dai romani, si propose di mettere in salvo la Torah, il Libro di Mosè. Non potendo egli in alcun modo uscire dalla città assediata, nascose il rotolo della Legge nelle sue vesti (forse se lo fece cucire addosso) e si fece portare in una bara fuori dalla città dai sui seguaci, fingendosi morto. Fu così che il Libro di Dio, avvolto in un cadavere, fu trasportato oltre le mura e salvato miracolosamente dalla distruzione.


Rabbi Jochanan ben Zakkaj salvò la Torah, facendosi passare per morto. Egli fu il solo a capire, in quei momenti tragici, quello che si doveva abbandonare e quello che invece si doveva salvare, in qualunque modo, con ogni mezzo. Per rabbi Jochanan ben Zakkaj salvare la Torah significava salvare l’essenziale, e avere così tutto il necessario per ricominciare daccapo. Con la distruzione del tempio in Israele venne a mancare la possibilità dei sacrifici, e dunque del perdono dei peccati. Si pose allora la domanda: come si può ricostruire, su quali basi, in un tempo senza tempio il rapporto con Dio? Nella storia d’Israele era già accaduto in precedenza che il tempio di Salomone (il primo tempio) venisse distrutto, e gli ebrei deportati in Babilonia. Si pose allora la questione di come si potesse avere comunione con Dio, lontani dal tempio. Attraverso la predicazione profetica, il Signore promise ai deportati del suo popolo, “dispersi per i paesi”, che lui stesso sarebbe stato per loro un tempio per un tempo (Ezechiele 11,16). Il tempio fu distrutto, ma la Torah fu salvata anche quella volta, e Israele portò con sé il Libro di Dio. Si ebbe così uno slittamento: dal tempio alla Torah, dal culto dei sacrifici alla vita etica e cultuale vissuta secondo la Legge.


Non può esserci tempio senza la Torah, mentre la Legge di Mosè esiste prima del tempio e sussiste anche senza il tempio. Il tempio da solo non dice chi è Dio e qual è la sua volontà. La Scrittura sì. Non è il tempio che ha prodotto la Scrittura. È piuttosto la Scrittura che riporta le misure del tempio, ne fissa la forma, ne rivela lo scopo. Dio è stato in comunione sempre con il suo popolo, anche quando il tempio venne distrutto. Il Dio che ha camminato con i patriarchi e abitato in mezzo a Israele, che ha parlato a Mosè e ai profeti, si è rivelato nella pienezza dei tempi nel suo Figlio Gesù Cristo: colui che abita il tempo e non il tempio.


Il Libro di Dio ha sempre accompagnato il popolo di Dio (Israele e la chiesa) nel suo cammino di fede, anche nella dispersione. Quando tutto viene distrutto, bisogna conservare l’essenziale. Quando tutto crolla, c’è qualcosa che bisogna salvare, se non si vuole perdere la propria storia e identità. Quando tutto attorno a noi viene meno, dobbiamo portare con noi il Libro di Dio, se vogliamo andare avanti nel cammino di fede. La Bibbia è il nostro vero tesoro, la nostra patria portatile. Essa non è soltanto compagna di viaggio, ma è la lampada che illumina la via nel nostro cammino.


Facciamo un salto in avanti di 1500 anni: al tempo della riforma di Lutero. In uno scritto, dai toni molto polemici, Lutero si trova costretto a giustificare il ministero dei pastori che non sono ordinati da Roma. Prima attacca il clero cattolico romano e ne denuncia gli abusi e gli eccessi, poi giustifica le ordinazioni con la Scrittura. “Chi ha dato a voi e tolto a noi un tale diritto?”, esclama Lutero. Lutero quindi considera legittime, valide, le ordinazioni dei pastori fatte dalle comunità locali. Ma il punto che a noi qui interessa è un altro: si trova nella conclusione del paragrafo. Lutero scrive: “Là dove c’è la parola di Dio, c’è tutto: regno di Dio e di Cristo, Spirito Santo, battesimo, sacramento, ministero pastorale e della predicazione, fede, amore, croce, vita e santità, e tutto ciò che la chiesa deve avere”. E allora anche per noi l’essenziale da “salvare” (custodire) è la Scrittura.

Paolo Mirabelli

22 settembre 2017

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.