Il quarto caso è quello del giuramento. In merito a questa antitesi Gesù insegna che ogni nostra parola deve essere così vera da rendere inutile, superfluo, addirittura assurdo, ogni giuramento, in tutte le sue forme e formule. Il giuramento tra gli uomini ha il suo presupposto nella sfiducia verso la sincerità degli altri: non si è mai sicuri che alle parole corrisponda la verità. Allora si crede che impegnando l’altro con un giuramento, chiamando Dio a testimone delle affermazioni che si fanno, lo si costringa a dire la verità e a mantenere la parola data e la promessa fatta. Durante l’esilio babilonese, gli israeliti avevano assimilato, tra le altre cattive abitudini, anche quella di giurare a sproposito. Arrivavano al punto di non fare più una affermazione senza accompagnarla con qualche imprecazione. Per evitare poi di pronunciare il nome di Dio invano, gli ebrei ricorrevano a formule meno impegnative, quali giurare per il cielo, il tempio, l’altare, l’offerta, la terra, i loro genitori, la loro stessa testa. Gesù prende posizione contro queste abitudini sconsiderate e lo fa con la sua solita radicalità: “Non giurate affatto, ma sia il vostro parlare sì,sì; no, no”.
Il precetto che proibisce di giurare il falso si trova in Levitico 19,12, mentre l’obbligo di adempiere la parola data, con un voto o con un giuramento, si trova in Deuteronomio 23,23, e si ispira pure a numerosi altri passi dell’Antico Testamento. La Torah proibiva la falsa testimonianza, il giuramento falso e vano e la violazione di un voto fatto a Dio. Al tempo di Gesù i precetti di Dio venivano però mescolati alle tradizioni umane e confusi con le interpretazioni dei rabbini. Nel giudaismo e tra i farisei vi era l’abitudine di ricorrere al giuramento persino per delle cose minime, insignificanti. Vi era anche l’abitudine a proibire i giuramenti fatti nel nome di Dio, per evitare la profanazione del nome divino e incorrere contro il precetto del Decalogo (Esodo 20,7). Coloro poi che volevano essere sciolti dal giuramento fatto, evitavano di proposito di usare il nome divino e usavano altre formule. Gesù invece proibisce qualsiasi giuramento, escludendo tutta una serie di formule di cui ci si serviva per evitare l’uso esplicito del nome di Dio. Giurare per il cielo, la terra, Gerusalemme, significa ancora giurare nel nome di Dio, poiché ciascuna di queste realtà appartiene a Dio: infatti il cielo è il trono di Dio, la terra lo sgabello dei suoi piedi, Gerusalemme la città del gran Re. L’uomo non può giurare nemmeno per la propria testa (anche se Dio non viene nominato), poiché non è in suo potere fare un solo capello bianco o nero: non è in potere dell’uomo determinare o variare la propria età, né disporre della propria vita.
Non era soltanto la profanazione del nome di Dio a preoccupare Gesù. Ci sono altri elementi che rendono inaccettabile un giuramento. Anzitutto esso presuppone una concezione pagana di Dio, che è immaginato come un notaio e un vendicatore pronto a fulminare gli spergiuri. Il giuramento poi presuppone un potere che l’uomo non ha: egli non può disporre di cose e di realtà, come la gestione del tempo, che lo trascendono. Infine il giuramento è il sintomo di una società in cui regnano la diffidenza, la sfiducia, la slealtà, il sospetto reciproci. Per i discepoli di Gesù il giuramento è inconcepibile perché essi sono persone dal cuore puro, guidate dallo Spirito di verità, che bandiscono dalla loro vita la menzogna e dicono la verità; una esortazione questa rivolta spesso dagli apostoli alle prime comunità. La parola di Gesù dunque va molto al di là delle interpretazioni dei farisei e dello stesso precetto che vieta di giurare il falso. Egli pone il divieto di giurare ed esige dai suoi discepoli sincerità assoluta, tale che il “si” e il “no” siano sufficienti per dare valore alla propria parola. Tutto ciò che trascende il semplice “sì” e il “no”, vale a dire l’affermazione e la negazione, viene dal maligno (non certo da Dio), ed è presunzione da parte dell’uomo.
La condanna espressa da Gesù di ogni tipo di giuramento, non solo di quelli falsi, è in funzione allora della sincerità che deve prevalere nella vita dei discepoli. Se non si dice la verità gli uni agli altri, se non si tiene nella debita considerazione la parola dell’altro, se non si ha fiducia nell’altro, è impossibile che avvenga una sana comunicazione e si stabiliscano così delle relazioni autentiche tra i cristiani, relazioni che portano ad una vera comunione fraterna. Le relazioni fraterne e comunitarie si basano, è bene ripeterlo, sul fatto che tra i cristiani la parola deve essere così vera da rendere inutile ogni forma di giuramento. Il cristiano, infine, è colui che dice “no, no” al peccato e a Satana, e dice “sì, sì” a Dio e alla sua Parola.