Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Ne parliamo evocando, e in parte commentando, tre storie di miracoli raccontate nel capitolo 5 del vangelo di Marco: l’indemoniato di Gerasa (5,1-20); la donna dal flusso di sangue (5,25-34); la risurrezione della figlia di Giairo (5,21-24; 5,35-43). La prima è una storia di liberazione; la seconda di guarigione; la terza di risurrezione. Nella prima si racconta della possessione (un uomo indemoniato), nella seconda della malattia (una donna malata), nella terza della morte (una fanciulla morta): tutte espressioni di un mondo che muore. La vita umana va incontro alla “possessione”, si imbatte nella malattia, si conclude con la morte. All’indemoniato Gesù dona liberazione; alla donna guarigione; alla bambina risurrezione. Il mondo della vita contrapposto al mondo che muore.


Che cos’è la possessione? È una distanza da Dio e dalla vita. L’uomo del vangelo che vive nel paese dei Geraseni (che nulla c’entra con i gerani) è posseduto da uno “spirito immondo”, detto così perché lo spinge lontano da Dio e a comportamenti indegni. “Che v’è tra me e te”, chiede l’indemoniato a Gesù. La possessione allontana l’uomo da Dio. Ma la possessione è anche una distanza tra l’uomo e l’uomo. Chi è lontano da Dio, è anche lontano dal suo simile: e oggi la distanza tra le persone si è allargata. L’indemoniato vive nelle caverne e nei sepolcri, lontano dalla città: il luogo per il quale è stato creato. Vive nei cimiteri, nel luogo e nello spazio della morte: il luogo che più mostra la distanza da Dio e dalla vita. Persino i porci, che richiamano la parabola di Luca 15 del figlio prodigo, che va a vivere in un paese lontano dalla casa del padre, esprimono la lontananza in cui viene a trovarsi chi vive nel peccato, dominato dal male. Gesù ordina allo spirito immondo di uscire da quell’uomo. Libera l’uomo posseduto, lo rimanda a casa sua e lo invita a raccontare “le grandi cose che il Signore ti ha fatto e come egli ha avuto pietà di te”. Togliendo il male, egli colma  la terribile frattura che sconquassa l’uomo. Il miracolo e le parole di Gesù annulla la distanza tra l’uomo e Dio e tra l’uomo e la sua casa. Chi però rimane distante dalla vita in questa storia sono coloro che mandano Gesù via dai loro confini. Il motivo? L’economia che mira soltanto al profitto, al guadagno disonesto, non sopporta la presenza di Gesù.


Che cos’è la malattia? È un flagello, dice Gesù. Un flagello che per 12 anni impedisce alla donna senza nome del vangelo di avere una vita normale. Il mondo è chiaro quando a soffrire sono gli altri, diventa opaco quando la sofferenza interessa noi. L’indemoniato è costretto a vivere nelle caverne, ma anche la donna ha le grotte fuori città dove stare, perché il sangue le causa una impurità legale e la costringe a vivere isolata. Gesù chiama flagello la malattia della donna. Non bisogna minimizzare o banalizzare la malattia e il dolore, come fanno alcuni. La malattia è un flagello che colpisce l’essere umano. Ma la malattia non è l’ultima parola all’esistenza umana. Gesù ha una parola di guarigione per la donna. Nel racconto di Marco, tutti sono con il capo della sinagoga, perché è un personaggio importante. Nessuno è con la donna malata senza nome. E questo rende la malattia ancora più insopportabile. Eppure le storie umane si intrecciano, dice il vangelo, si toccano. Gesù si ferma e dice: “Chi mi ha toccato?”. La sua non è una perdita di tempo. Toccare è il prolungamento del vedere. Toccare significa entrare in relazione, comunicare calore e vicinanza. Il vangelo ci invita a fermarci e a toccare chi soffre. La donna è cosciente che il suo è un miracolo rubato, per questo ha paura che possa venire ritirato: ha paura di ricadere nelle sue paure e nella sua disperazione. Ma Gesù le dice: “Vai in pace e si guarita del tuo flagello”.


Che cos’è la risurrezione? È una parola detta da Gesù. La risurrezione è uno svegliarsi e un levarsi dalla morte. Mentre Gesù è trattenuto dalla donna e dalla folla che gli si accalca addosso, la bambina muore. “Perché incomodare più oltre il Maestro?”, dicono alcuni. La morte in fondo pone fine a tutto. La morte porta via ogni speranza. Tutti tacciono, tranne Gesù, che ha una parola per il padre: “Non temere, solo abbi fede!”. La scena che si presenta a casa di Giairo è ben nota. Gesù entra. Dove? Nello spazio e nel luogo della morte. Gesù entra, prende la bambina per mano e le dice: “Talithà qumì!”. Che interpretato vuol dire: “Fanciulla, a te io dico, levati!”. Gesù ha una parola sulla fede per il padre e una parola sulla vita per la figlia. “Levati”: è la parola della risurrezione detta da Gesù alla bambina, è la parola che il vangelo di Marco conserva per noi perché possiamo oggi predicarla e, un giorno, ascoltarla. Levati è la parola di Gesù che vince la morte.

Paolo Mirabelli

23 marzo 2017

Gallery|Bibbiaoggi
Foto & Post della Gallery: 1680
Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.